Educazione siberiana, la recensione
Il grande film internazionale di Salvatores si basa su un romanzo perfetto per lo scopo e ha una regia tra le migliori della carriera del suo autore. Peccato per la sceneggiatura...
Epica a pacchi. Epica fino a morire, fino a schiacciare e appiattire tutto, anche le cose migliori. E ce ne sono di cose buone in Educazione Siberiana! A partire dalle idee di partenza, quelle prelevate dal libro di Nicolai Lilin.
Ecco in questo misto di elementi noti e inediti per il suo cinema, Salvatores ha confezionato un film non solo internazionale (aggettivo che in sè non è per forza positivo) ma soprattutto buono. Ci sono infatti moltissimi momenti in cui il demone del miglior cinema si impossessa di Educazione Siberiana, moltissime scene in cui si respira l'aria del film serio, eppure in quasi ogni caso una sceneggiatura dall'enfasi retorica insostenibile, in bocca a doppiatori non adeguati, tende ad affossare tutto.
Compendio di molto cinema e molta cultura popolare degli ultimi anni, la trama aveva moltissime caratteristiche sia di rapido appeal che di profondo interesse, solo che le storie di cadaveri la cui vita viene ricostruita leggendo i tatuaggi sul corpo, di coltelli usati per recidere il proprio cordone ombelicale ricevuti poi in dono a 13 anni come anche le immagini potentissime (l'icona della madonna con doppia pistola o l'arma caricata dal patriarca per il nipote sul suono martellante di interiora d'animale fracassate in cucina), avrebbero meritato ben altro svolgimento.
Educazione siberiana, una volta tanto, sembrava avere le caratteristiche dell'eccezione, sulla carta come sul piano di lavorazione e sul cast (Malkovich è un scelta impeccabile). Cosa sia potuto andare storto e come sia stato possibile approvare simili scelte di scrittura è a tutti gli effetti un mistero.