Educazione siberiana, la recensione

Il grande film internazionale di Salvatores si basa su un romanzo perfetto per lo scopo e ha una regia tra le migliori della carriera del suo autore. Peccato per la sceneggiatura...

Critico e giornalista cinematografico


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Epica a pacchi. Epica fino a morire, fino a schiacciare e appiattire tutto, anche le cose migliori. E ce ne sono di cose buone in Educazione Siberiana! A partire dalle idee di partenza, quelle prelevate dal libro di Nicolai Lilin.

Due ragazzi cresciuti a pane, tatuaggi e coltelli in una parte della Russia in cui anche l'esercito sovietico ha paura ad andare, dominata da un codice ferreo dal quale non si sfugge, che si ritrovano 10 anni dopo in mezzo alla più grande transizione di sempre, quella da URSS a Russia moderna, in mezzo allo smantellamento di un paese grande quanto un continente. Inevitabilmente, per il bene della trama e del film, i due prenderanno strade differenti fino a che destino e codice di condotta personale non li faranno incontrare di nuovo, come si conviene, da parti opposte della barricata.

Ecco in questo misto di elementi noti e inediti per il suo cinema, Salvatores ha confezionato un film non solo internazionale (aggettivo che in sè non è per forza positivo) ma soprattutto buono. Ci sono infatti moltissimi momenti in cui il demone del miglior cinema si impossessa di Educazione Siberiana, moltissime scene in cui si respira l'aria del film serio, eppure in quasi ogni caso una sceneggiatura dall'enfasi retorica insostenibile, in bocca a doppiatori non adeguati, tende ad affossare tutto.

Il dissidio di questo film ampio e audace di Salvatores sta tutto nella lotta che la messa in scena ingaggia con la sceneggiatura, che i personaggi affrontano contro quel che devono dire, in una dialettica metafilmica che può appassionare giusto un critico. Non solo battute implausibili e un uso esasperato della retorica o di un'ostentata ingenuità di ogni carattere, ma soprattutto una volontà di poesia e di epica che fa pensare subito a Leone (aiutati anche dal connubio: ragazzi delinquenti che diventano adulti delinquenti sullo sfondo dei mutamenti di un paese) ma che delude ad ogni risata fasulla e ogni metafora esibita ("E io ora dichiaro che quel nastro azzurro è la felicità" dice uno dei protagonisti prima di tentare di prenderlo gioiosamente assieme agli amici in un clamoroso ralenti che grida al sopruso).

Compendio di molto cinema e molta cultura popolare degli ultimi anni, la trama aveva moltissime caratteristiche sia di rapido appeal che di profondo interesse, solo che le storie di cadaveri la cui vita viene ricostruita leggendo i tatuaggi sul corpo, di coltelli usati per recidere il proprio cordone ombelicale ricevuti poi in dono a 13 anni come anche le immagini potentissime (l'icona della madonna con doppia pistola o l'arma caricata dal patriarca per il nipote sul suono martellante di interiora d'animale fracassate in cucina), avrebbero meritato ben altro svolgimento.

Educazione siberiana, una volta tanto, sembrava avere le caratteristiche dell'eccezione, sulla carta come sul piano di lavorazione e sul cast (Malkovich è un scelta impeccabile). Cosa sia potuto andare storto e come sia stato possibile approvare simili scelte di scrittura è a tutti gli effetti un mistero.

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