Easy - Un Viaggio Facile Facile, la recensione
Molto tenero, controllato e concentrato nel raccontare un ritorno alla natura, Easy è tenuto a galla da Nicola Nocella
Easy però è naive e perde quasi subito l’auto. Il suo viaggio proseguirà di autostop in autostop, a dorso di mulo e con ogni mezzo di fortuna, grazie al buoncuore di sconosciuti.
Se fossimo in America Easy sarebbe stato presentato al Sundance film Festival tanto la sua idea di cinema è vicina alla tenera stranezza che domina il festival di Redford. Un personaggio poco convenzionale in una situazione assurda (con un mezzo di trasporto assurdo) e un viaggio in cui scoprire sé attraverso gli altri. Il campionario della bontà c’è tutto e Easy ha intenzione di non saltare nemmeno una tappa. Lasciata alle spalle quella che sembra la parte migliore del film, ovvero le relazioni con la madre Barbara Bouchet e il fratello Libero di Rienzo (bastardo e affettuoso per interesse), Nicola Nocella è portato nelle umide autostrade e nei casolari deserti facendo sfoggio di quello sprezzo della modernità che il cinema italiano conosce molto bene.
Così Easy dovrà perdere il cellulare e il navigatore satellitare prima di accedere all’empireo dei personaggi in pace con se stessi. Attaccato ai videogiochi e chiuso all’inizio, ambirà addirittura ad una storia sentimentale alla fine nell’umile capanna di contadini vestiti nel costume tipico locale, di fatto chiudendo il cerchio del suo favolistico ritorno all’umanità attraverso un viaggio nelle campagne più profonde e marginali.
Per fortuna c’è Nicola Nocella (attore sottovalutatissimo dal nostro cinema), che dà a Easy i toni migliori e una credibilità concreta. Capace di mantenere l’equilibrio che il film richiede sia nelle gag fisiche (poche ma sempre centrate) che nei molti silenzi in cui il suo personaggio lo costringe, Nocella e il suo cappottone di fatto animano il film, cercando in ogni momento di salvare dalla condanna ad essere solo un campionario di tenerezza.