Earwig e la strega, la recensione
Earwig e la strega propone una rivoluzione estetica totale che, accompagnata da una storia sconclusionata, fa sospettare a chi guarda che si tratti di un brutto scherzo
Ci si spezza il cuore a dirlo, ma purtroppo è così: il nuovo film dello Studio Ghibli Earwig e la strega è un disastro su quasi tutti i fronti. Non c’è niente, in questo lungometraggio, della magia che distingue lo storico studio d’animazione giapponese, con le sue visioni immaginifiche - rigorosamente disegnate con metodo tradizionale, a mano - e le sue storie profonde e ispirate. No, non c’è niente della poetica del maestro Hayao Miyazaki: d’altro canto non sarebbe nemmeno troppo giusto aspettarselo visto che qui al comando c’è il suo controverso erede Gorō Miyazaki. Ma se si parla di Studio Ghibli le aspettative, giustamente, restano altissime e chi vede un film dello studio sa esattamente cosa aspettarsi: Earwig e la strega invece destabilizza, propone una rivoluzione estetica totale che, accompagnata da una storia sconclusionata, fa sospettare a chi guarda che si tratti di un brutto scherzo.
Non solo però si tratta di un problema dello strumento: è anche il modo in cui questo strumento viene usato, ovvero la regia, che sa di sbagliato. Gorō Miyazaki fa il possibile ma il suo raggio d’azione è veramente limitato: non ci sono immagini appaganti - men che meno memorabili - non c’è quasi nessuna contemplazione del paesaggio (marca distintiva della poetica Ghibli) perché non c’è alcun paesaggio, nessun contesto. Tutta la storia si svolge tra le mura buie e malamente illuminate della casa della strega, tra la camera da letto, il bagno e la stanza delle magie. Stanze che sono luoghi anonimi, pieni di cianfrusaglie indistinguibili o vuoti e senza significato, dove Earwig e la strega non fanno altro che ripetere le stesse battute all’infinito. Non c’è alcun interesse per il dettaglio (e invece quanto c’è da impazzire per l’amore incredibile che Hayao sa mettere nei singoli dettagli… basti pensare a come disegna il cibo), nessuna volontà esplorativa né decorativa. Gorō Miyazaki non ha proprio idea su dove mettere le mani.
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