Earwig e la strega, la recensione

Earwig e la strega propone una rivoluzione estetica totale che, accompagnata da una storia sconclusionata, fa sospettare a chi guarda che si tratti di un brutto scherzo

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Earwig e la strega, la recensione

Ci si spezza il cuore a dirlo, ma purtroppo è così: il nuovo film dello Studio Ghibli Earwig e la strega è un disastro su quasi tutti i fronti. Non c’è niente, in questo lungometraggio, della magia che distingue lo storico studio d’animazione giapponese, con le sue visioni immaginifiche - rigorosamente disegnate con metodo tradizionale, a mano - e le sue storie profonde e ispirate. No, non c’è niente della poetica del maestro Hayao Miyazaki: d’altro canto non sarebbe nemmeno troppo giusto aspettarselo visto che qui al comando c’è il suo controverso erede Gorō Miyazaki. Ma se si parla di Studio Ghibli le aspettative, giustamente, restano altissime e chi vede un film dello studio sa esattamente cosa aspettarsi: Earwig e la strega invece destabilizza, propone una rivoluzione estetica totale che, accompagnata da una storia sconclusionata, fa sospettare a chi guarda che si tratti di un brutto scherzo.

Il “figliol prodigo” (e di sangue) di Hayao Gorō Miyazaki, qui alla regia, dopo il dolcissimo e delicato La collina dei papaveri si avvia verso il sentiero pericoloso dell’animazione 3D (una decisione, da precisare, approvata da tutto lo Studio e dallo stesso Hayao) diventano quasi suo malgrado il capro espiatorio di un’operazione artistica totalmente fallimentare. Non che l’animazione in CGI, in sé, sia un disonorevole tradimento da disprezzare a prescindere: il cambiamento non deve essere per forza condannato. Il problema di Earwig e la strega, di questa storia ai limite del casuale e del delirante su un’orfana ribelle che viene adottata da una strega severa (ma qual è l’obiettivo dei personaggi? Qual è il problema? Qual è, dannazione, il punto della storia?) è però che questa animazione fa rabbrividire da quanto è posticcia, abbozzata, macchinosa. Un’animazione che sa di un bel po’ di anni di ritardo rispetto ai progressi della tecnologia è che cattura l’occhio - in senso negativo - in modo tremendamente totalizzante.

Non solo però si tratta di un problema dello strumento: è anche il modo in cui questo strumento viene usato, ovvero la regia, che sa di sbagliato. Gorō Miyazaki fa il possibile ma il suo raggio d’azione è veramente limitato: non ci sono immagini appaganti - men che meno memorabili - non c’è quasi nessuna contemplazione del paesaggio (marca distintiva della poetica Ghibli) perché non c’è alcun paesaggio, nessun contesto. Tutta la storia si svolge tra le mura buie e malamente illuminate della casa della strega, tra la camera da letto, il bagno e la stanza delle magie. Stanze che sono luoghi anonimi, pieni di cianfrusaglie indistinguibili o vuoti e senza significato, dove Earwig e la strega non fanno altro che ripetere le stesse battute all’infinito. Non c’è alcun interesse per il dettaglio (e invece quanto c’è da impazzire per l’amore incredibile che Hayao sa mettere nei singoli dettagli… basti pensare a come disegna il cibo), nessuna volontà esplorativa né decorativa. Gorō Miyazaki non ha proprio idea su dove mettere le mani.

Chissà come sarebbe stato Earwig e la strega se fosse stato animato “alla vecchia”. Forse il tono, l’atmosfera e la consistenza del suo mondo sarebbero stati più chiari, più diretti e più convincenti nonostante una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti: se ne ha una minima idea nei titoli di coda, quando scorrono dei bozzetti disegnati a mano che riprendono alcune scene del film. Basta una manciata di disegni e ci si mangia le mani pensando che la soluzione era già lì.

Cosa ne dite della nostra recensione di Earwig e la strega? Scrivetelo nei commenti!

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