The Eagle - la recensione

Alla ricerca dell'aquila perduta, un antico romano capirà che forse i britanni non sono i barbari che credeva e che i romani non sono i santi che pensava...

Critico e giornalista cinematografico


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Al posto dei cowboy gli antichi romani, al posto degli indiani i britanni. Kevin MacDonald, il regista con l'hobby del documentario già dietro le macchine da presa di L'Ultimo Re di Scozia, State Of Play ma anche ideatore di Life in A Day, gira un film che dire che non gli appartenga è poco. The Eagle, scritto da scozzesi e inglesi, recitato da un cast misto di americani e britannici e infine tutto centrato su quello spostamento di senso che un ribaltamento di fronte costringe ad operare, è una delle opere meno sensate dell'anno. Quanto ci vuole per convincere un soldato della malafede del proprio fronte? Quanto ci vuole per fargli cambiare idea su tutto il sistema padrone/schiavo? 90 minuti circa.

La storia è quella di un ufficiale romano che si fa spedire in Britannia, vicino al vallo di Adriano, perchè lì suo padre cadde in battaglia con tutto il suo plotone perdendo lo stemma romano (per l'appunto l'aquila), incidente increscioso che ha gettato discredito e vergogna sulla sua famiglia e che il protagonista è intenzionato a cancellare a furia di gesta eroiche. Sul posto salva la vita ad uno dei britanni che era finito come vittima in uno spettacolo da colosseo, diventa il suo schiavo e in seguito la sua guida quando si avventurerà al di là del vallo. Con lui scoprirà che forse i britanni non sono i barbari che credeva e che forse i romani non sono dei santi.

Il modello è sempre quello: Soldato Blu. Il passaggio dall'altra parte del fronte e la vicinanza all'altra parte in causa opera un mutamento di prospettiva e la scoperta della vera natura del proprio fronte. Complice una storia di occhi dolci tra i due protagonisti che si risolverà in un (apparente) nulla di fatto. Ma come se l'applicazione di dinamiche da storia americana ad un contesto da antica Roma non fosse sufficientemente fastidioso, Kevin MacDonald applica a personaggi romani anche valori, idee, paure, ansie ed ossessioni degli eroi americani. Il risultato provoca uno stridio tale da assordare le orecchie e si vorrebbe fingere di non vedere il continuo anacronismo narrativo, ma non c'è scampo.

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