È stato tutto bello, la recensione

La storia della vita e carriera di Paolo Rossi raccontata con il massimo della nostalgia e del senso del kitsch

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di È stato tutto bello, il film di Walter Veltroni su Paolo Rossi al cinema il 19, 20 e 21 settembre

Sfiancante dal minuto 1. L’immaginario veltroniano torna con prepotenza, sempre più calcato e quindi sempre più pesante. Bambini, droni e campi di calcio polverosi di provincia come in una canzone di De Gregori, poi musiche insistite di Danilo Rea senza limiti e un senso kitsch di poetico che viene ammassato sopra dell’altro senso kitsch di poetico.

A strati.

Tutto in bianco e nero fino a che si racconta di periodi per i quali la documentazione ufficiale è in bianco e nero. Da quando le foto passano a colori anche È stato tutto bello trova il colore. È il mondo cinematografico di Walter Veltroni, nazionalpopolare con ambizioni, sempre nostalgico, sempre interessato ad una forma modesta e composta di commozione.

Questo documentario su Paolo Rossi che arriva colpevolmente tra gli ultimi nell’anno che celebra il quarantennale della vittoria dei mondiali di Spagna non fa eccezione, ed è tutto giocato alternando segmenti narrativi ad una più corposa parte in cui persone diverse parlano benissimo del soggetto in questione. Ed è incredibile, vista la durata e la quantità di interviste, che non riesca ad uscire niente di interessante sul calciatore e solo qualcosa di tenero e soggettivo sull’uomo.

Certo Veltroni ci mette del suo anche nella scelta del materiale di repertorio (non parleremo della scelta di identificare chi parla non con nome e cognome ma solo con il nome di battesimo), perché anche nel video d’epoca tutti parlano dei propri sentimenti, anche Nando Martellini! Il telecronista dei mondiali dell’82 è catturato in un momento in cui parla delle proprie emozioni nel fare quella telecronaca. Anche il presidente Sandro Pertini parla delle sue sensazioni in quella che, se non altro, è la parte migliore del documentario. Quando È stato tutto bello si concentra su Pertini infatti si vede chiaramente Veltroni nello sfondo, cioè l’adorazione per quell’idea (nostalgica ovviamente) di politica pop. Sembra di vedere i cuoricini uscire dallo schermo ad ogni parola di Pertini, si percepisce lo scavo e la ricerca intorno alla figura, un feticismo per quell’ideale che almeno tradisce una visione di mondo.

Il resto del documentario sarà una lunga agiografia così insistita da sfiancare anche i fan. In particolare poi un’ultima parte interminabile farà pura pornografia della vita di Paolo Rossi, con un collage interminabile di filmati amatoriali, domestici, privati, degli ultimi mesi di vita che nulla aggiungono semmai ammassano morbosità. Una cronaca del dolore della perdita da parte dei cari e degli amici su cui davvero non c’era bisogno di insistere così tanto.

Non contento però il film poi rincorre lo spettatore che esce dalla sala sui titoli di coda, colpendolo sulla nuca con una chiusa in cui le varie squadre e fasi della vita di Paolo Rossi sono riassunte con un’ultima mazzata di nostalgia a buon mercato: con un grafica fatta di figurine degli album Panini!

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