Dylan Dog Color Fest 22: Remake 2, la recensione
Abbiamo recensito per voi Dylan Dog Color Fest 22: Remake 2, un albo pregevole sotto ogni punto di vista
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
Se volessimo trovare ad ogni costo un difetto all'ultimo Dylan Dog Color Fest - che insegue la formula varata lo scorso anno dal numero 18 nel riproporre tre rivisitazioni di storie classiche - potremmo al limite prendercela con il titolo: Remake 2 suona davvero troppo anonimo, forse inappropriato per le tre storie presentate, così intense e ispirate che risulta ostico definirle dei meri rifacimenti.
Il successo è da condividere con l'esplosione emotiva delle illustrazioni di Carmine Di Giandomenico, che cura matite e pastelli per dar vita a tavole incantevoli, intrise di una plasticità poetica. Ciò che emerge con forza da Ancora un lungo addio è il senso intimo dell'opera di cui è la rivisitazione: la consapevolezza di un'età che non potrà mai tornare e dell'inscalfibile crudeltà del tempo. Il dolore e il piacere che risiedono nel ricordo e si danno battaglia nel corso della storia trovano tregua - ma non pace - solo con la toccante conclusione.
Caccia agli inquisitori vede Tito Faraci ai testi, Nicola Mari ai disegni e Luca Saponti alla tavolozza. Come nel brano appena descritto, viene esasperato l'elemento portante dell'intreccio - il metafumetto, in questo caso - di cui è rievocazione: Caccia alle streghe (Dylan Dog 69, giugno 1992) di Sclavi e Pietro Dall'Agnol.
Qui la prospettiva originale viene ribaltata: la vicenda reale è quella di Daryl Zed, Detective dell'Occulto, ed è l'Indagatore dell'Incubo a finire tra le pagine di un fumetto, così da allinearsi al nostro punto di vista. Faraci non può riutilizzare l'inganno narrativo di Sclavi, già noto al pubblico, ma da sceneggiatore navigato e scaltro qual è ne moltiplica i livelli e la profondità, risolvendo il tutto con una costruzione razionale ma impossibile come un'opera di M.C. Escher. Lo stile elegante e personalissimo di Mari, che rimanda per certi versi al tratto graffiante e spigoloso di Dall'Agnol agli esordi, è ideale per questa rivisitazione.
Chiude il brossurato La grande baraonda, firmato come autore completo da Fabio Celoni. L'episodio fa eco a un altro numero imprescindibile della continuity dell'Old Boy, Golconda! (Dylan Dog 41, febbraio 1990) di Sclavi e Luigi Piccatto.
Celoni inverte l'ordine sequenziale delle tavole di quest'ultimo iniziando da quelle terminali, in cui Dylan e Amber si stringono in un focoso amplesso, e dedica allo svolgimento e alla sua fine una svolta tutta sua. Ampio è lo spazio che viene riservato ai risvolti più grotteschi e demenziali della storia sclaviana, esaltati da una tecnica particolarmente pittorica, da un tratto ampio, pastoso, il cui effetto ricorda talvolta la delicatezza di un acquerello e talvolta il vigore di un acrilico. Il colore gioca dunque un ruolo essenziale ed entra a far parte della logica della trama stessa, fagocitando il lettore nell'incubo e nella follia degli accadimenti.