Dylan Dog Color Fest 11, la recensione
Carlo Alberto Montori nasce a Bologna all'età di 0 anni. Da allora si nutre di storie: lettore, spettatore, ascoltatore, attore, regista, scrittore.
Per il verso sbagliato (Astori / Cossu)
Dylan viene chiamato in una scuola per indagare su un banco che sembra essere posseduto; la ragazza che si sedeva in quel posto era presa in giro da tutta la classe, ma anche in sua assenza il banco sembra prendersela con chiunque ci si avvicini. Dopo una confessione improvvisa e una risoluzione forzata si arriva al finale, e quando si realizza che Dylan si è limitato a essere uno spettatore degli eventi senza influenzare la vicenda in alcun modo, si ha la sensazione di aver letto un episodio un po’ retorico di cui si poteva fare tranquillamente a meno.
Non aiutano a immergersi nella storia i disegni dei personaggi, con un’espressività piatta e pose per nulla plastiche che li fanno sembrare marionette mosse all’interno delle vignette.
Ouroboros (Tedeschi – Tinnirello – Rose / Rinaldi)
Dylan ha incubi ricorrenti nei quali viene ucciso da un uomo incappucciato, e al risveglio non ha alcun ricordo dei giorni precedenti e del caso su cui sta lavorando. Nel frattempo un serial killer toglie la vita a giovani donne, dissanguandole completamente. Questi gli ingredienti di una trama già vista fin troppe volte, senza alcun elemento veramente interessante se non l’utilizzo della Morte, che risulta però quasi fuori luogo in una storia così banale.
Buoni i disegni, che acquisiscono profondità grazie alla colorazione più efficace dell’albo.
Il dubbio più grande a fine lettura è: per produrre un episodio come questo, c’era davvero bisogno di tre sceneggiatori? Mah.
I morti non ballano (Gualdoni / Catacchio)
L’agente Dog è appena arrivato a Londra e gli viene assegnato un ruolo all’obitorio. Il nuovo posto di lavoro impressiona il pavido poliziotto dato che non ha mai visto prima un cadavere, ma quanto prima dovrà prepararsi ad affrontare addirittura uno zombie, il primo di una lunga carriera…
Una storia anche questa senza troppe scintille d’originalità, ma che mantiene comunque vivo l’interesse grazie all’espediente dell’episodio flashback sulle “origini” di Dylan Dog.
Le tavole trasmettono la freddezza propria dell’obitorio, ma per rendere ancor più inquietante la storia avrebbe giovato un maggior senso di claustrofobia. Tra i personaggi l’unico che graficamente suscita qualche perplessità purtroppo è proprio il giovane Dylan, disegnato con una costante espressione di spavento e stupore.
La Nera (Recchioni/Raffaele)
Un oggetto maledetto che crea dipendenza nel suo proprietario: anche questo soggetto non è di sicuro una vicenda inedita per l’indagatore dell’incubo, ma il modo in cui la storia viene raccontata riesce a tenere viva l’attenzione per la trentina di pagine in cui si dipana. Con evidenti influenze da Stephen King e un pizzico di Tolkien, l’atmosfera che si respira durante la lettura è più inquietante delle pagine precedenti, nonostante l’assenza di creature mostruose o morti violente.
A rendere particolare la vicenda è anche il fatto che La Nera del titolo sia una bicicletta, mezzo di trasporto che riporta inevitabilmente alle pedalate fatte in gioventù con spensieratezza e tranquillità, ovvero le sensazioni in cui è più facile nascondere elementi horror in grado di provocare qualche sussulto nel lettore.
A impreziosire il racconto un tratto fine ed elegante, con i personaggi più vivi visti nell’albo.
Senza dubbio, la storia migliore del volume.
DDCF 11 è una lettura dalla qualità altalenante, abbastanza deludente anche sotto il punto di vista della sperimentazione, criterio che quando “Dylan Dog Color Fest” esordì 6 anni fa si dichiarò sarebbe stato il fulcro della testata.
Cosa c’è di veramente sperimentale, quale di queste storie non avrebbe potuto essere sul mensile o sulle altre testate regolari? Forse I morti non ballano, nel voler raccontare il primo incontro di Dylan col sovrannaturale, una sorta di “episodio 0” che proprio per il suo essere in un albo fuori serie non sappiamo quanto dover considerare in continuity.
Anche la possibilità di vedere all’opera su Dylan Dog disegnatori e sceneggiatori che non hanno mai lavorato sul personaggio è stata sfruttata solo in parte, visto che metà degli artisti di questo albo (chi più chi meno) hanno già disegnato o scritto per l’indagatore dell’incubo.
Peccato.