Dylan Dog 381: Tripofobia, la recensione
La recensione di Dylan Dog 381: Tripofobia, di Giovanni Eccher, Paolo Armitano e Davide Furnò
Da qualche tempo a questa parte, Dylan Dog sta recuperando all'interno delle sue storie le componenti esoteriche e mistiche, con un'attenzione particolare all'aspetto cosmologico dell'orrore - basti pensare a La fine dell'oscurità - costellato di aberrazioni raccapriccianti ed esseri estranei, talmente fuori scala rispetto all'uomo da risultare difficilmente comprensibili agli occhi di quest'ultimo.
Tripofobia, albo numero 381 della testata di Sergio Bonelli Editore, prende l'idea chiave di orrore innaturale e "scomodo" da osservare incentrando l'intero albo sull'omonima psicosi (che ancora difficilmente viene riconosciuta come tale dai medici) provocando, a partire dall'evocativa copertina di Gigi Cavenago, reale fastidio e disgusto negli occhi di chi non riesce a sostenere la vista di pattern geometrici tondeggianti.
Lo sviluppo della trama, fedele alla tradizione del personaggio che mostra l'intero svolgimento dell'indagine in modo attivo da parte di Dylan, senza che quest'ultimo assista in modo passivo allo scorrere della storia, rende la lettura dell'albo un'esperienza piacevole e interessante.
I disegni, firmati da Paolo Armitano e Davide Furnò, sono perfettamente in linea con l'immaginario sporco del grottesco, dove vengono messi in evidenza i difetti e i lati oscuri di ambienti e personaggi con un segno molto grasso e marcato. Sia nelle sequenze più dinamiche che in quelle dialogiche il tratto e la regia risultano sempre molto chiari, nonostante la gran quantità di neri all'interno delle tavole.
Ogni volta in cui Dylan si affaccia verso l'aspetto aberrante dell'incubo, sono graditi i riferimenti (espliciti o meno) all'immaginario di chi, in passato, ha regalato ai lettori un intero universo carico d'orrore: Howard Phillips Lovecraft, un uomo che ha vissuto un'intera esistenza nel terrore del contrarre qualsiasi tipo di malattia. Non fa eccezione quest'albo, in cui, a partire dall'editoriale firmato dal curatore Roberto Recchioni, l'orrore e i miti nati quasi cent'anni fa riecheggiano tra le pagine, ricordando la natura infinitesimale dell'uomo.
Nonostante peschi a piene mani dalla tradizionale struttura narrativa dei racconti di Dylan Dog, Tripofobia mantiene una propria identità proponendo una storia che riesce, nella sua semplicità, a intrattenere e disturbare i lettori.