Dylan Dog 377: Non umano, la recensione
Abbiamo recensito per voi Non umano, una storia incredibilmente attuale di Dylan Dog
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
Dopo ben quattro anni di assenza (Dylan Dog 330: La magnifica creatura, febbraio 2014) torna ai testi del mensile dell'Indagatore dell'Incubo uno scrittore ben noto ai frequentatori di Craven Road 7, Giancarlo Marzano. È invece un esordio quello di Giulio Camagni, artista che abbiamo già apprezzato nella saga Il Pianeta dei Morti (Speciale Dylan Dog 30: La fine è il mio inizio, settembre 2016), di Alessandro Bilotta.
Non umano rientra pienamente in tale ottica, anche se rispetto alla prova dei Paguri assume un taglio più romanzesco e fantastico. Marzano confeziona un ottimo soggetto e sfoggia una sceneggiatura eccellente, producendosi in una delle sue migliori performance sull'Old Boy. Camagni, dal canto suo, infonde nelle tavole un'intensità e una naturalezza talmente incisive da sembrare un habitué della testata. I contrasti decisi dei suoi bianchi e neri, così come il segno mai completamente netto e capace in pochi tratti di catturare l'essenza di un'atto o di una situazione, lo avvicinano ai grandi nomi che hanno fatto la fortuna del personaggio.
Nello sfogliare Non umano è difficile non pensare ai tragici eventi di Macerata, avvenuti poco più di una settimana fa, con il raid di un sedicente neofascista contro alcuni africani; ci si rende immediatamente conto della potenza suggestiva di questo fumetto e della capacità straordinaria di Dylan Dog - inalterata, nonostante i trent'anni di vita editoriale - di riflettere i nostri tempi e i malanni sociali della società contemporanea.
La minaccia è rappresentato da un serial killer, una sorta di vampiro che sembra prediligere come vittime coloro che appartengono alle minoranze etniche e culturali di Londra; “razze inferiori” verso le quali sfogare tutto il proprio odio e la propria violenza. È la metafora della mostruosità che racchiude un'ideologia siffatta, che viene espressa con grande impatto emotivo dalla copertina di Gigi Cavenago e ben sintetizzata nel titolo del volume.
Il razzismo è un malessere che può annidarsi ovunque, nascondersi in mezzo a chi ti sta a fianco per rivelarsi poi in tutta la sua brutalità e ferocia, trasformando chi ne è contaminato in una orrenda belva disumana; perché è difficile accettare razionalmente che chi possa condividere e perdersi in certe convinzioni abominevoli abbia lo stesso nostro DNA. Forse, come suggeriscono Marzano e Camagni nella loro evocazione narrativa, sarebbe più facile e rassicurante pensare che questi individui siano essi stessi membri di qualche altra razza, pericolosa e tanto lontana dalla nostra.