Dylan Dog 360: Remington House, la recensione
Con Dylan Dog 360, Paola Barbato e Sergio Gerasi ci accompagnano dentro la sinistra Remington House...
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
In qualche modo, Remington House si riallaccia per argomento - i fantasmi - all'ultima prova dell'artista milanese, scritta da Luigi Mignacco. Qui tuttavia il clima è assai più greve, lo potete intuire dalla cupa copertina del brossurato, in cui Angelo Stano ci mostra sullo sfondo la lugubre costruzione vittoriana protagonista della vicenda.
La trama si ispira a un soggetto che può richiamare alla mente un'opera come Shining, sia il capolavoro letterario di Stephen King che l'altrettanto straordinario adattamento cinematografico di Stanley Kubrick. In questo caso però la possessione non si riduce a un unico individuo ma esplode quasi come un'epidemia coinvolgendo quasi tutti, perché la chiave della soluzione è ovviamente in mano all'inquilino di Craven Road n. 7.
Questo non è probabilmente il racconto più memorabile della Barbato, ma la scrittrice, una delle migliori penne del fumetto mostrano, dà vita a un episodio perfetto dal punto di vista della sceneggiatura: briosa, esplosiva e con una buona dose di sano, vecchio splatter. Non manca inoltre il verso sarcastico alla morbosa e spesso insana attrazione del pubblico verso i luoghi di famigerati omicidi.