Dylan Dog 331: La morte non basta, la recensione

Ecco la recensione di Dylan Dog 331: La morte non basta.

Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.


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Come spiega Roberto Recchioni nell'editoriale in quarta pagina, la Morte può essere considerata il quarto personaggio più importante di Dylan Dog, dopo il titolare della testata, Groucho e Bloch. In La morte non bastaGiovanni Di Gregorio dedica all'Oscura Mietitrice una storia insolita, incentrata su diversi casi di “ritornati”, persone che si risvegliano dal Grande Sonno per poi riaddormentarsi poco dopo aver commesso un omicidio. Una degli pseudo zombi è la nuova, ennesima fidanzata dell'Indagatore dell'Incubo, che per tale motivo si prende particolarmente a cuore il caso che lascia Scotland Yard nello sconcerto e decide di voler a ogni costo aiutare l'amico commissario a venire a capo dell'inquietante enigma.

Il racconto scorre fluido e ben ritmato. La sceneggiatura di Di Gregorio è funzionale e di effetto, sorretta da una buona dose di ironia che emerge da dialoghi e battute più che mai azzeccate, in perfetto stile Old Boy. La matita dei fratelli Gianluca e Raul Cestaro è pienamente in sintonia con il soggetto, non si raggiungono le vette di un maestro quale Corrado Roi, come azzardato da Recchioni in prefazione, ma le tavole di questo numero testimoniano una straordinaria capacità di manipolare bianco e nero, offrendo una ricchezza espressiva dirompente, tutta da godere. Sono passati ormai alcuni mesi da Una Nuova Vita, (l'ottimo Dylan Dog 325 firmato da un veterano come Carlo Ambrosini in versione autore completo), il titolo programmatico con cui Recchioni prendeva pieno controllo di tutte le serie di casa a Craven Road. L'impegno richiesto e la sfida raccolta erano e rimangono smisurati riguardo un patrimonio del fumetto italiano come la creatura di Tiziano Sclavi, ma i risultati fino a ora espressi dalla gestione del buon Rrobe sono egregi, soprattutto nel rinnovare conservando la tradizione, un personaggio così complesso e popolare.

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