Dustborn, la recensione

Dustborn è la perfetta rappresentazione dell’essere umano: imperfetto, ma proprio per questo affascinante e meritevole di attenzione

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Se conoscete lo storico di titoli sviluppati da Red Thread Games, è molto probabile che stiate aspettando con impazienza l’arrivo sul mercato di Dustborn. Il team norvegese, infatti, si è distinto nel tempo per le sue capacità di creare videogiochi caratterizzati da un comparto narrativo di prim’ordine. Videogiochi come Dreamfall Chapters, titolo con release episodica che fa da seguito a un franchise nato sul finire degli anni Novanta, e Draugen, che pesca dal folklore norvegese per dare vita a un’avventura horror davvero affascinante. Insomma: le abilità del team guidato da Ragnar Tørnquist sono molteplici e, a quanto pare, devono essersene accorti anche i ragazzi di Quantic Dream.

Dustborn, infatti, nasce sotto l’egida di Spotlight, l’etichetta editoriale della software house che ha dato i natali a Heavy Rain e Detroit: Become Human. Un supporto concreto ed economico che ha permesso ai ragazzi di Red Thread Games di spingersi oltre i propri limiti. Di puntare a realizzare un’opera che non sia esclusivamente focalizzata sulla narrativa, ma contenga anche elementi più “ludici”. Ed ecco che ci troviamo di fronte a un titolo che ci porta a interagire con gli ambienti, a seguire il ritmo con sezioni da ryhtm game e, persino, a combattere contro diversi avversari in sezioni puramente action.

Ma sarà riuscito il team norvegese a bilanciare il tutto? Ci troviamo di fronte al miglior lavoro di Red Thread Games, oppure il tentativo di creare un videogioco più complesso si sarà rivelato il più grande difetto dell’opera? Per scoprirlo salite a bordo del nostro bus e preparatevi a una lunga traversata degli Stati Divisi d’America!

ESSERE ANOMALI IN UN MONDO CARICO D’ODIO

Dustborn è ambientato in un futuro non troppo remoto di un mondo parallelo. Per essere più precisi: in un 2030 nel quale la storia ha preso una piega differente, annullando così l’omicidio di JFK e dando un ruolo di spicco a Marilyn Monroe. Più importante di qualsiasi altra modifica rispetto alla nostra realtà è però il Broadcast, un evento devastante che non solo ha portato a galla paure e risentimenti, ma che ha modificato il DNA di alcuni esseri umani donando loro dei poteri. Queste persone, che vengono chiamate Anomali, sono ora cacciate in tutto il Paese e trattate come dei mostri da chiunque le incontri.

Pax e il suo gruppo di amici sono degli Anomali che hanno accettato un lavoro pericoloso: consegnare dei file rubati all’altro capo degli Stati Divisi d’America. Per fare ciò decidono di fingersi una band punk-rock in tour, tuffandosi in un’avventura che cambierà per sempre le loro vite.

Il comparto narrativo della nuova fatica di Red Thread Games è senza dubbio l’elemento che il team norvegese ha curato di più. La trama generale ci è apparsa interessante e le tematiche trattate ci hanno coinvolti in più di un’occasione. Sono però evidenti alcune sezioni più accessorie di altre e una scrittura che nel finale arranca un po’ in funzione di un ipotetico seguito che speriamo di vedere in futuro.

È evidente, però, che gli autori hanno puntato tutto su Pax e i suoi compagni di ventura. Dustborn è un videogioco esplicitamente inclusivo, dove ogni personaggio è la rappresentazione di una precisa sfumatura dell’essere umano. Qualcuno potrebbe trovare questa diversificazione un po’ troppo forzata, ma ammettiamo di non rientrare in questa categoria. Un po’ come gli X-Men degli anni Ottanta, infatti, gli Anomali sono uno strumento per rappresentare tutti. E questo vuole fare Dustborn: dare spazio a tutti, senza nessuno escluso. Ci sentiamo però di criticare l’eccessiva verbosità di alcuni dialoghi e, più in generale, l’inutilità delle scelte che ci troveremo a prendere. Era lecito aspettarsi un lavoro un po’ più preciso dagli autori di Dreamfall Chapters, ma tutto sommato siamo rimasti comunque soddisfatti del risultato finale.

DI TUTTO UN PO’

Al di là della narrativa, Dustborn tenta di alzare il tiro rispetto ai precedenti giochi di Red Thread Games. Il problema, però, è che tutte le nuove aggiunte appaiono mediocri e/o accessorie. Basti pensare al minigioco legato alle canzoni, semplice e mai in grado di entusiasmare davvero. Lo steso si può dire delle sequenze action, che non riescono a trasmettere correttamente la fisicità dei colpi inferti e che risultano estremamente facili. Questo a causa di un’IA deficitaria e di una scarsa aggressività da parte dei nemici, che ci mette sempre in una situazione di vantaggio. La possibilità di effettuare mosse di squadra o di utilizzare i propri poteri in battaglia ci è parsa poi mal implementata negli scontri.

Sia chiaro: apprezziamo lo sforzo fatto dagli sviluppatori ed è evidente che sia la direzione giusta, però è altrettanto innegabile che la strada da percorrere per raggiungere l’obiettivo che si sono prefissati sia ancora lunga. In ogni caso, se queste nuove aggiunte prese singolarmente faticano a funzionare, messe insieme riescono comunque a donare una varietà al tutto. Al di là dei dialoghi prolissi citati nello scorso paragrafo, Dustborn riesce a intrattenere dal primo all’ultimo minuto di gioco. La varietà delle attività ci ha impedito di annoiarci e, alla fine, ci siamo trovati a fare il tifo per questo piccolo gruppo di ribelli.

UN FUMETTO IN MOVIMENTO

Se narrativa e gameplay prestano comunque il fianco a qualche critica, lo stesso non si può dire del comparto tecnico. Dustborn è un fumetto in movimento. Dal punto di vista artistico, il lavoro svolto dal team capeggiato da Christoffer Grav è semplicemente meraviglioso. Questo è evidente dal character design dei personaggi e degli ambienti, ma anche dall’utilizzo estremamente consapevole del cel-shading. Aggiungeteci una cura maniacale per la realizzazione dei menù e dell’HUD, con tanto di “cover” per ogni capitolo che dovremo affrontare, ed ecco che capirete perché siamo rimasti estasiati dall’estetica di Dustborn.

Ottimo anche il comparto sonoro, che mescola tracce cantate più che orecchiabili a una soundtrack sempre coerente con quanto presente a schermo. Impeccabile, invece, il doppiaggio in inglese, che ha contribuito spesso a farci empatizzare con Pax e gli altri personaggi. Segnaliamo, infine, la presenza dei sottotitoli in italiano. Una piacevole aggiunta rispetto ai precedenti lavori di Red Thread Games e che permette così anche ai non anglofoni di godere di questo affascinante viaggio attraverso gli Stati Divisi d’America.

DUSTBORN, IL COMMENTO FINALE

Dustborn non è un videogioco privo di difetti e sicuramente il tentativo di realizzare un progetto più grande rispetto ai loro precedenti lavori ha messo in difficoltà i ragazzi di Red Thread Games.  La narrativa talvolta stride, i dialoghi ci sono apparsi un po’ verbosi e il gameplay si muove incerto tra diversi generi. Nonostante queste problematiche, però, Dustborn è la perfetta rappresentazione dell’essere umano: imperfetto, ma proprio per questo affascinante. Se amate i fumetti degli X-Men e siete alla ricerca di un’opera dai toni positivi e genuinamente inclusivi, allora questo è il titolo che fa per voi. C’è tanto cuore in Dustborn e ammettiamo di esserci affezionati a Pax e ai suoi compagni di viaggio. E forse, in fondo, questo sentimento vale più di qualsiasi mancanza ludica.

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