Duri si Diventa, la recensione

Qualsiasi film dia libero spazio a Will Ferrell riesce a dire qualcosa sul cinema comico, in Duri si Diventa purtroppo c'è solo quello, solo Ferrell

Critico e giornalista cinematografico


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Sceneggiatore mediocre di commedie quasi mai memorabili, Etan Cohen (nessun legame con il più noto "quasi omonimo") con questo film diventa anche regista incolore.

Nonostante si ritrovi per le mani Kevin Hart e Will Ferrell, due corpi comici incredibili (specialmente il secondo), per tutto un film decisamente troppo lungo, nonostante duri solo circa 100 minuti, non riesce mai a mettere realmente a frutto l'oro che gli consegnano su un piatto d'argento.
Duri si Diventa è la storia pretestuosa (come sempre) di un miliardario incastrato dal padre della sua futura moglie (nonchè capo) e condannato ad andare in galera per 10 anni in un carcere di massima sicurezza. Prima però dovranno passare 30 giorni nei quali, terrorizzato da quel che gli accadrà in galera, ha deciso di allenarsi alla vita da carcere e per farlo ha assunto il primo afroamericano che incontra, il quale ovviamente non sa nulla di galera ma è disposto a fingere per soldi.

Come si capisce dalla trama tutto ruota intorno alle diverse possibilità per Will Ferrell di sfruttare il proprio umorismo di situazione, la sua capacità di entrare in una scena e sconvolgere l'equilibrio che la regge grazie ad ampie dosi di imbarazzo. Da anni al classico umorismo d'idiozia Will Ferrell ha cominciato ad affiancare quello dell'umiliazione, cioè uno che non è get hard 3(paradossalmente) dalla parte dello scemo comico ma che ha su di esso un giudizio negativo. I suoi personaggi non sono mai davvero positivi, sono degli scemi che fanno del male alla società oltre che a se stessi e in questo molto più devastanti di qualsiasi altra tipologia.
Non fa eccezione il miliardario di Duri si Diventa, impermeabile a qualsiasi differenza sociale e spaventato da qualsiasi cosa esista fuori dal suo microcosmo, il massimo dell'inquadrato e del tranquillizzante che nella pelle di Ferrell diventa una mina vagante capace con solo un sorriso o con un assolo di chitarra di rendere un momento imbarazzante e, proprio per questo, divertente.

Tuttavia ancora una volta in tutto il film esiste solo Will Ferrell, solo il suo umorismo personale e non uno che sia imputabile alla scrittura. Prova ne è quanto funzioni poco la sua spalla, Kevin Hart, quando non interagisce direttamente con lui, o quanto poco Duri si diventa riesca a mettere a frutto le perle di Ferrell, quanto la presa in giro più efficace del suo personaggio provenga dai movimenti e dalle facce dell'attore protagonista e quanto poco invece la si trovi nella messa in scena o nella sceneggiatura.
Mentre Adam McKay ha, se non altro, il merito di aver scoperto e valorizzato al meglio il talento di Ferrell, coinvolgendolo in una serie di commedie che ne hanno definito il ruolo all'interno del sistema cinematografico, Duri si diventa (di cui McKay è solo produttore e ideatore della storia) è un altro film come molti, divertente ad ampi tratti ma totalmente dipendente dalle apparizioni dell'attore principale, incapace di reggersi sulle sue gambe e quindi di avere un senso oltre al divertimento.

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