Dungeons & Dragons - L’onore dei ladri, la recensione

Senza originalità nella messa in scena ma con una scrittura capace di traghettare tutto il pubblico Dungeons & Dragons trova la sua unicità

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Dungeons & Dragons - L’onore dei ladri, il film in sala dal 29 marzo

Non sì può davvero dire che Dungeons & Dragons - L’onore dei ladri la sua personalità la trovi nelle immagini. Dall’inizio alla fine mette insieme suggestioni, idee, e stili di fotografia, scenografia e trucco presi altrove, dalla grande banca dati di fantasy prodotto per il cinema e per la serialità televisiva degli ultimi 20 anni. Anche i costumi non sembrano originali ma oscillano tra Il trono di spade e Le cronache di Narnia (con occasionali tocchi da World Of Warcraft). Semplicemente non è su quello che punta per creare la propria identità, ma sul tono. Con echi da cinema per ragazzi anni ‘80, convivono bene e anzi si alimentano a vicenda lo scanzonato e l’avventuroso, lo sfacciato e il godereccio. Quella di Dungeons & Dragons è un’avventura eccitata che sa di essere tale e sembra proprio alimentata da un desiderio facile ad essere condiviso di essere divertente. Le scelte dei personaggi sembrano orientate dalla soluzione più divertente ai loro problemi.

Tutto parte da una prigione e si snoda attraverso scenari diversi alla ricerca di un oggetto magico che possa fare un miracolo. In omaggio al gioco di ruolo da cui tutto prende le mosse si creerà una compagnia di viaggio in cui ogni personaggio più che avere un carattere ha un ruolo, cioè ha una funzione e delle abilità che tornano utili, ma che poi il film è bravo a mettere in relazione. La compagnia quindi non funziona solo nelle sue azioni ma anche nelle sue interazioni: l’uomo sbruffone di cervello, la donna d’azione, il mago insicuro e la ragazza sveglia, più o meno questa la suddivisione a cui sì contrappone un ordine di maghi cattivi.

È l’apoteosi di Jonathan Goldstein e John Francis Daley, sceneggiatori e registi del bel Game Night e sceneggiatori di Spider-man: Homecoming e Piovono polpette 2, artisti della scrittura umoristica e avventurosa, specializzati in action comedy che qui, al primo film con budget sostanzioso non tradiscono e anzi consegnano un prodotto sopra ogni aspettativa. Il lavoro di ogni sceneggiatore moderno di blockbuster lo sanno fare: da un lato tengono fermi gli elementi dell’adattamento (è tutto un tripudio di oggetti magici che consentono nuovi avanzamenti, sotterranei, incontri e scontri da vincere con mosse e via dicendo), dall’altro usano la leggerezza come piede di porco per contrabbandare un’azione non eccezionale ma digeribilissima. Così si evita il polpettone che fu l’adattamento del 2000 con Jeremy Irons.

Sono doti di scrittura che i due avevano già mostrato, qui però è ancora più evidente di quanto non lo fosse in Game Night quanto siano bravi a trovare un senso e una dimensione per gli attori. La sfida era di quelle che richiede incantesimi e pozioni: far funzionare Chris Pine e Michelle Rodriguez tanto da renderli veri protagonisti. E ci sono riusciti. Hanno progettato spazi impeccabili per il carattere che più si addice ai due, trasformando anche loro in caratteristi e facendo di tutto il cast una banda di comprimari eletti a personaggi principali. Nessuno ha un vero e proprio arco, nessuno è protagonista della propria storia ma tutti, tutti insieme creano un’armonia che procede a gonfie vele dall’inizio alla fine.

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