Dune - Parte Due, la recensione

Concepire un film come Dune (la parte due come la parte uno) è la dimostrazione delle nuove maniere in cui oggi si può pensare un blockbuster

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione della Parte 2 di Dune, il film di fantascienza di Denis Villeneuve al cinema dal 28 febbraio

Ad oggi nessuno come Denis Villeneuve è in grado di usare la macchina degli studios americani. Nemmeno Christopher Nolan. Non è una questione di potere (non solo almeno) ma di capacità di muoversi all’interno di una società grande e importante come Warner e riuscire a ottenere quello che si vuole, anche quando quello che si vuole è difficile da ottenere e non viene dato a nessun altro. Se una cosa dimostra Dune - Parte 2, è come questo regista sappia manovrare una macchina complicata e gigante come quella di una produzione di uno degli studios hollywoodiani (che porta con sé obblighi, problemi, ingerenze, ordini, rischi e pressioni che spesso schiacciano gli artisti), tirando fuori da essa quello che in pochi riescono a tirare fuori: un film dal costo grandissimo che sia anche un’operazione di grandi ambizioni artistiche, dotata del grado solito di sicurezza di poter conquistare un pubblico vasto ma anche rischiosa e audace.

Nella seconda parte Dune (il film) continua a seguire fedelmente Dune (il primo romanzo della saga), l’eccezione maggiore è il ruolo della sorella del protagonista. Paul Atreides si è unito ai Fremen, il popolo indigeno di Arrakis tra i cui ranghi serpeggia il sospetto che lui sia il loro messia. La madre di Paul scala la gerarchia religiosa dei Fremen spingendo questa tesi e soffiando sulla parte ignorante della popolazione. Paul a un certo punto dovrà decidere se continuare a rifiutare di essere il loro messia (visto che le visioni che ha portano tutte a morte e distruzione) o accettarlo e guidare tutto quel popolo contro gli usurpatori del suo casato e quindi contro l’imperatore della galassia (scelto con ottimo casting davvero).

Le questioni che all’inizio del primo film erano degli adulti vengono quindi qui ereditate dai figli, preparando la strada per altri eventuali film del ciclo di Dune in cui le seconde generazioni portano avanti la lotta per il potere. Sul fondo c’è sempre la maniera in cui la religione funziona da manovratore occulto del potere, tirando le fila della politica. E in questo Villeneuve riesce anche a mantenere la contradditorietà del romanzo, con un protagonista nobile che va a vivere tra i popoli umili ma da loro è percepito subito come superiore, con una storia che condanna i fondamentalismi ma quando è il momento sa abbracciarne il potere salvifico e personaggi che sembrano divisi rigidamente in buoni e cattivi ma in realtà si dimostrano anche il contrario. Questa è la sua forza, la maniera in cui sa porre domande impreviste, sorrette da scelte visive che le imprimono col fuoco nella testa dello spettatore, come "Cosa c'è di vero nel potere religioso?" domandato attraverso l'immagine che abbina architetture da Alhambra al cinismo di una presa del potere.

Con Greig Fraser e con lo scenografo Patrice Vermette (lo stesso del design incredibile di Arrival), Villeneuve concepisce un mondo regolato dalle immagini, in cui i colori non servono solo a identificare popoli e mondi diversi, ma reggono la sostanza dell’epica, ne sono cioè la materia, fanno quello che in altri film è il ruolo di frasi enfatiche, grandi grida o recitazione sopra le righe. Le geometrie che Dune usa per far muovere le masse, o anche solo le singole scene d’azione, i contrasti monocromatici della casata Harkonnen culminati con il bianco e nero saturo del loro sole nero, sono gesti artistici che i blockbuster non riescono mai a permettersi e che in questo film invece riescono a conquistare quello che è palesemente l’obiettivo smisurato di Villeneuve: fare un film che sia La Bibbia e Guerra e Pace allo stesso tempo.

Il rovescio della medaglia di tutto ciò è che in Dune (sia nella prima che nella seconda parte) le singole passioni e la partecipazione alle emozioni dei personaggi diventano poca cosa di fronte alle grandi questioni della storia, là dove un kolossal di uguale portata come Il Signore Degli Anelli faceva l’esatto contrario: metteva le questioni dei popoli e degli eserciti in una posizione di condimento alle vicende personalissime e ai contrasti struggenti dei personaggi. Questo film invece asseconda le dinamiche della storia dell’umanità e lo riconosciamo subito, in questo modo Villeneuve finisce l'opera di rifondazione del blockbuster americano, unendo in modi che nessuno aveva ancora fatto commercio e arte moderna. A prescindere dal suo successo o da eventuali sequel, dal suo apprezzamento critico o dalle fortune del suo regista, i due film di Dune mostrano qualcosa di nuovo e più complesso che può essere fatto con uno studio americano alle spalle. Sapendolo manovrare.

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