Dragonero 51: L'inferno senza luce, la recensione
Abbiamo recensito per voi Dragonero 51: L'inferno senza luce, uno dei racconti più crudi della serie
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
Il numero di agosto, a partire dal titolo e dall'eclatante copertina di Giuseppe Matteoni, ci sprofonda in un penitenziario imperiale dove i condannati vengono abbandonati in luoghi estremi e inaccessibili, tali da risparmiare la presenza di guardie carcerarie. I detenuti ricreano all'interno di queste strutture restrittive delle micro-società e sub-culture fondate sulla sopraffazione, sulla legge del più forte. La rocca di Vetusmea è una di queste prigioni esemplari, scavata all'interno di una montagna dispersa in mezzo all'oceano e divenuta tristemente nota per essere la sede delle famigerate Lame Nere, la gilda di sicari in grado di minacciare la vita stessa dei sovrani dell'Erondar.
Il protagonista viene inviato sul posto in incognito come un comune condannato, subito fagocitato in una bolgia dantesca che non ha pietà di niente e di nessuno, anziani e bambini compresi. La missione di Ian è indagare sulla famigerata società segreta di assassini e sul loro vertice, ma dovrà sottostare a regole e a condizioni disumane per compiere questa impresa; da quelle parti, infatti, la sopravvivenza è un bene da conquistare ogni giorno, affrontando le avversità più diverse ed estreme, come ad esempio evitare di morire di sete o evitare di essere sbranati da una tigre di mare.
L'inferno senza luce è finora uno dei racconti più crudi e spietati dell'intera serie, in cui la durezza della sceneggiatura viene amplificata dal tratto di Porcaro; d'altra parte il realismo è uno stilema caratteristico della testata, tanto che le è valso un Premio Micheluzzi all'ultima edizione di Napoli Comicon.