Dragon Quest XI S: Echi di un'era perduta - Edizione definitiva è tutto l'orgoglio di una serie | Recensione
Dragon Quest XI S: Echi di un'era perduta - Edizione definitiva rappresenta, con ogni probabilità, la summa della serie JRPG di Square Enix
Dragon Quest XI S: Echi di un'era perduta - Edizione definitiva | Recensione
Al primo impatto Dragon Quest XI S: Echi di un'era perduta - Edizione definitiva sembra quasi una follia, che è più o meno quanto si potrebbe ripetere per tutti i relativamente recenti capitoli della serie Square Enix, quelli usciti in un contesto, l'attuale, che da un JRPG cerca un'immediatezza e dei ritmi tradizionalmente sconosciuti al genere. E non bisogna andare troppo in là per averne conferma, basta guardare in casa della stessa compagnia giapponese, a un Final Fantasy alla perenne (e disperata) ricerca di una nuova identità, che per ritrovare lo slancio per ripartire è dovuto, ironicamente, tornare al passato, con il remake del settimo capitolo. Su queste stesse pagine abbiamo scritto di Dragon Quest VII: Frammenti di un mondo dimenticato e di Dragon Quest VIII: L'Odissea del re maledetto, e molto di quanto lì esposto sarebbe valido anche in questa sede, partendo dal classicismo che è non la base, ma l'identità stessa della decennale saga. Molto, ma non tutto, perché il suo undicesimo capitolo ne rappresenta, con ogni probabilità, la summa, grazie a tutta una serie di elementi che gli permettono di staccare in maniera netta i predecessori, dal ritrovato gusto per un'epica più di ampio respiro a una scrittura che riesce a proporre situazioni intriganti e tratteggia personaggi finalmente dotati di una certa complessità, e a tanto altro ancora.
[caption id="attachment_200422" align="aligncenter" width="1280"] Un'estetica pregevole dipinge spesso paesaggi da cartolina[/caption]
Anche nella sua progressione non c'è nulla di particolare, ma riesce a proporre in maniera convincente una varietà di situazioni piacevolissima, un continuo susseguirsi di avventure dai molteplici toni e dai differenti contesti scandito da un ritmo che non molla mai un colpo. È quanto necessario a rendere significativo un avanzamento che è in realtà del tutto lineare e che quindi ha bisogno di una azzeccata spinta per fornire un'esperienza di gioco stimolante. Il mondo di gioco infatti, seppur molto vasto, non ha il respiro degli open world, soluzioni a volte anche ineleganti (ponti crollati, frane e simili) ne limitano spesso l'esplorazione, che concede quindi giusto l'andar a vedere cosa ci sia in quella porzione di mappa dell'area un po' più lontana; spesso la risposta è un forziere, premio prevedibile ma che comunque incentiva a deviare dalla strada principale.
[caption id="attachment_200429" align="aligncenter" width="1280"] La bidimensionalità della modalità di visualizzazione in 2D è pregevole[/caption]
I contenuti esclusivi della versione Nintendo Switch elevano ulteriormente la portata dell'avventura, con storie secondarie dedicate ai compagni dell'eroe, che ne arricchiscono la caratterizzazione, e le piccole imprese retrò alle quali si accede dal regno di Achronia, legate a eventi dei passati capitoli della serie, dipinte da una deliziosa veste grafica bidimensionale. La stessa con la quale, altra novità gustosissima, è possibile affrontare l'intera avventura, sebbene lo switch tra 3 e 2D sia disponibile solo in determinate circostanze e segua determinate meccaniche (qui ve lo spieghiamo nel dettaglio), di fatto non concedendo al giocatore di gustarsi l'avventura alternando a piacimento tra le due modalità di visualizzazione.
Arriverà forse il giorno in cui persino Dragon Quest si stancherà di essere nella sua natura più intima sempre uguale a se stesso, ma fin quando sarà capace di proporsi come nel suo undicesimo capitolo nessuno ne avvertirà il bisogno. Perché è vero che l'esperienza JRPG che ne costituisce il cuore sia estremamente classica, ma la maniera nella quale è declinata la rende lo stesso bellissima. Potrebbe essere la sua prossima sfida cercare di andare oltre, ma avrebbe realmente senso? Perché levare ai giocatori la possibilità di immergersi in una videoludica dal dolce sapore nostalgico, ma capace comunque di proporsi a livelli altissimi nella abbondante e ricca scrittura, nella morbidezza e nella riconoscibilità dell'estetica, nella un poì nuova e un po' familiare colonna sonora? Ci sono mille altre produzioni dello stesso genere che propongono evoluzioni più o meno indovinate. Dragon Quest XI non lo fa, ma questo non è in nessun modo un limite, anzi della sua fortissima identità deve essere, ancora una volta, solo che orgoglioso.