Dragon Blade, la recensione
Molto impreciso, svogliato e caricato di un'enfasi che lo avvicina al ridicolo, Dragon Blade è in lizza per il titolo di peggior film dell'anno
Quando però anche Jackie Chan nella prima sequenza di combattimento mette in scena una coreografia mal montata e senza nessuna personalità, è evidente che il film non migliorerà né andrà da nessuna parte. Difficile era però prevedere che potesse andare così male, cioè che Daniel Lee imboccasse con tale decisione la via del ridicolo, che abusasse così tanto e con così poca ragione del ralenti (in certi momenti proprio la velocità lenta mette in evidenza quanto certi massi rotolanti siano di polistirolo). Non si può credere a nulla di questo film implausibile, sia fattualmente che sentimentalmente, uno in cui i personaggi parlano tutti la stessa lingua fino a che non arriva un altro cinese che parla in cinese con la stessa persona che ha fino a questo momento parlato con i romani non si sa in quale lingua, in cui il macguffin è un bimbo candido e canterino reso cieco da un malvagio imperatore romano, in cui gli eserciti compaiono all’improvviso tutti insieme e in cui c’è un numero inqualificabile di flashback che fanno riferimento a scene che abbiamo visto solo pochi minuti prima.
Ma in fondo non è nemmeno questo a rendere Dragon Blade così poco sopportabile e probabilmente il film peggiore dell’annata, quanto la smodata quantità di retorica applicata con così poca cognizione di causa. È il modo ruffiano in cui musica e sguardi incrociano pessima recitazione per esaltare le emozioni più semplici nella maniera più scontata a svilire tutta l'operazione. Tutto ciò senza nemmeno un briciolo di voglia di fare, se non altro, buon cinema d’azione.