Dragon Ball Super: Broly, la recensione
Reboot del personaggio di Broly, in continuità con Dragon Ball Super, questo film inizia bene ma poi mostra tutti i difetti tipici della serie
Dragon Ball Super: Broly è però inizialmente molto migliore sia delle serie regolari (perché ovviamente più sintetico e meno dilatato) sia dei soliti film spin-off o in continuity. Sembra non avere la sudditanza verso la storia principale che di solito rende i film così innocui da annoiare e soprattutto il fatto di poter raccontare una origin story che ha anche vedere sia con Broly che con l’origine di Freezer (e quindi ovviamente di Vegeta e Goku) lo rende appassionante. Lavorando sulle componenti classiche di Dragon Ball, ovvero la misurazione del potere, l’attesa per la sua deflagrazione e l’uso delle sfere come MacGuffin comico (è Freezer a radunarle per diventare più alto di 5cm e non essere preso in giro dopo che Bulma aveva iniziato a farlo per ringiovanire di 5 anni), questo film riesce un po’ a retrodatare la storia riportandola alle dinamiche della saga di Namecc.
Asciugato del rischio di morte, della vera supremazia sull’altro data agli effetti della violenza (inesistenti) e dalla fatica, questi 40 minuti di urla e distruzione animata sono quasi un supplizio. Ovviamente il confronto fisico è l’anima di Dragon Ball, ma c’è sempre il fascino di una causa, una strategia, una difficoltà o un obiettivo a creare il ritmo e dare senso alle svolte. E se questi non ci sono allora è il rischio di morte, concreto e tangibile, a dare il fascino dell’ineluttabilità apocalittica allo scontro. È stato così in ogni snodo chiave della serie (a fumetti e poi animata) e non è così quasi mai nei film, perché non possono intaccare davvero il canone. Così anche uno che era partito molto bene si spegne malissimo.