Downton Abbey 2 - Una nuova era, la recensione
Torna la fiera dell'indignazione per i costumi contemporanei di Downton Abbey, questa volta con ancora più implausibile tolleranza e fede nel classismo
Torna la fiera dell’indignazione e dello scandalizzarsi per i costumi oltraggiosi dei non nobili o anche solo del tempo presente. Torna Downton Abbey, ormai giunto alla fine degli anni ‘20, quando il cinema sta diventando sonoro, cosa di cui farà esperienza tutto il maniero, bisognoso di soldi per riparare il tetto e quindi pronto a piegarsi malvolentieri ad ospitare la gentaglia del cinema al lavoro su un film con alcune star che fanno fibrillare la servitù. È solo metà della trama, la parte leggera, mentre il cast principale se ne va nel sud della Francia a valutare un altro maniero piovuto dal cielo con un’eredità e, lo scopriranno in loco, rivelazioni sul passato di Lady Violet Crawley.
Perché di quello si nutre Downton Abbey, della celebrazione della conservazione dello status quo, e questo non può esistere senza mutamento. Non si può cioè celebrare il lavoro di salvaguardia della tradizione (con strategiche aperture a nuovi costumi accuratamente selezionati) senza che il mondo intorno non manifesti cambiamento. E qui il cambio è simboleggiato dall’arrivo del sonoro. La produzione cinematografica, nel mezzo della lavorazione, riceve l’ordine di diventare sonora, con massimo scorno della grande attrice, star del muto con pessima voce (come Cantando sotto la pioggia) che teme la fine della carriera. Anche lì il mutamento arriverà ma cercando di mantenere intatti gli equilibri e lasciare che in cima rimanga chi c’è già (nel caso specifico una popolana, ma poco cambia).
Anche i signori lo dimostreranno con un colpo che (non a caso) abbiamo visto più volte sfruttato e spiegato nella ben più sofisticata The Crown. Ci sarà chi rinuncerà all’amore dicendo esplicitamente che la propria felicità e il proprio desiderio non sono la cosa più importante (intendendo che il ruolo nella tenuta di Downton Abbey stessa, allegoria del paese tutto, ha la precedenza), e chi se ne andrà dalla serie ribadendo il medesimo concetto, che prima del proprio piacere viene sempre il benessere del sistema e la conservazione dello status quo.
Anche in questo senso, considerato tutto l’afflato conservatore, il contesto e gli anni (circa 1928), una sottotrama di accettazione dell’omosessualità farà abbastanza sorridere per implausibile ingenuità.