Dovlatov - I libri invisibili, la recensione

Dovlatov - I libri invisibili di Aleksey German Jr. è un biopic dal tono delicato, che con un'insospettabile potenza racconta un intero mondo di desideri e di dilemmi artistici e morali

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Dovlatov - I libri invisibili, la recensione

Una settimana nella vita dello scrittore Sergei Dovlatov è la sineddoche di un’intera esistenza fatta di dubbi, incertezze, dilemmi morali. Tra il deludente lavoro come reporter e l’aspirazione a scrivere un grande romanzo, Dovlatov (Milan Maric) non riesce a stare ai compromessi, né privati né artistici. E, come risultato, non fa che continuare a sognare un futuro glorioso che esiste solo nei suoi desideri, e che si avvererà solo dopo la sua morte (come ci informa il film tramite un cartello finale).

Dovlatov - I libri invisibili di Aleksey German Jr. è un affascinante quanto asettico biopic dal ritmo placido e ipnotico, quello del lungo pezzo jazz che contorna il divagare “hemingwayiano” di Dovlatov dall’inizio alla fine; il quale rincorre - senza saperlo - una tranquillità quotidiana, la pace con sé stesso pur nella paura di essere un fallimento come autore e come persona. Ripreso spesso in lunghe scene-sequenze, dove la macchina da presa si insinua in fumosi festini di artisti reietti e outsider, il film è allo stesso modo una sineddoche che rappresenta la sofferenza di chi crea ma non riesce a comunicare con il mondo, di chi fa arte ma non riesce per qualche ostacolo a far uscire la sua voce: una condanna forse peggiore della morte.

L’URSS degli anni Settanta assume qui un’inquietante presenza, non si vede mai nelle sue istituzioni riconoscibili, nei suoi simboli, ma la si percepisce eccome nel meccanismo stesso della società, a qualsiasi livello la si osservi. Il regista e sceneggiatore Aleksey German Jr. Ce la mostra tanto semplicemente quanto efficacemente tramite gli uffici e le redazioni dove Dovlatov cerca di farsi pubblicare, nelle richieste di storie eroiche, nel commercio illegale di beni e nei festini che gli outsider come lui portano avanti come ultimo baluardo di resistenza ai dogmi.

Sono essenzialmente il desiderio di libertà e di riconoscimento in un mondo in cui questi paiono impossibili da raggiungere i conflitti portanti che sorreggono Dovlatov. In questa lotta invisibile per la gloria, in tutti i sensi la si voglia intendere, si manifesta senza che ce ne si renda conto una prospettiva che è anche estremamente sociale e collettiva. Aleksey German Jr. riesce insomma senza apparente sforzo a creare un racconto profondo e stratificato, in cui gesti e scene apparentemente inutili si rivelano invece poi tasselli essenziali di un affresco molto più grande. In cui sono proprio i dettagli a fare la differenza.

Tra piccoli ritratti di artisti, scene di dolcezza fraterna, dialoghi asciutti e soprattutto visioni spesso d’insieme, con riquadri pieni di persone, di oggetti, di cose che accadono in continuazione, Aleksey German Jr. trova il suo equilibrio narrativo ed estetico. Un equilibrio delicato, che per cogliere appieno e in modo soddisfacente bisogna avere la pazienza di lasciarsi trasportare non dalla trama - apparentemente senza un punto d’arrivo - ma da ogni singolo pezzo di strada che Dovlatov ci porta a scoprire.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Dovlatov - I libri invisibili? Scrivetelo nei commenti!

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