Dove Non Ho Mai Abitato, la recensione

Soffocato al nascere da una pomposità in cui sembrano non si trovarsi bene nemmeno gli attori, Dove Non Ho Mai Abitato svilisce anche le sue parti migliori

Critico e giornalista cinematografico


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Lo suggeriscono i violini di Pino Donaggio, con i loro toni più alti, che Dove Non Ho Mai Abitato ambisce a muoversi dalle parti del melodramma classico della Hollywood degli anni ‘50. Come per quelle storie anche questo film si appassiona alla possibilità di mostrare i sentimenti nascosti e a farlo tramite improvvisi crolli fisici (quando i personaggi soffrono così tanto da lasciarsi cadere come sacchi di patate), sfuriate e momenti di commozione che arrivano così subitanei da lasciare la sensazione che anche i personaggi sentano il tema di pianoforte in sottofondo e capiscano che è il momento della lacrima.

Al centro di tutto c’è una grandissima trama metaforica, che parla di due architetti che hanno chiuso fuori da sé i sentimenti e a modo loro sono scappati da quel tipo di vita. Si dovranno frequentare per la costruzione di una nuova casa e questa diventerà un’alcova prima di incontri e poi più concretamente d’amore. Due artisti che, come un regista, devono confrontarsi con un pubblico (cioè chi sarà proprietario della casa) e i suoi gusti, e che addirittura hanno contrasti con la critica.
Il vero merito del film di Paolo Franchi però è di credere seriamente in quello che fa, di avere una fiducia incrollabile nella forza di una storia d’amore alto borghese, fatta di ambienti e costumi sofisticati, in cui la costruzione di una casa (che vediamo effettivamente venire costruita e poi finita lungo il film, l’idea migliore di tutte) corrisponde alla costruzione di un rapporto che culminerà con il sogno di ogni artista: un amplesso all’interno della propria creazione.

Quello che invece sembra ingiusto di questo film è quanto sia recitato con superficialità da attori altrove ottimi, come sono Gifuni e Emmanuelle Devos.
Si potrebbe parlare a lungo di quanto l’impianto di Dove Non Ho Mai Abitato non sia in realtà “classico” ma solo fuori dal tempo, perché la sua impostazione non è di quelle che hanno superato la prova del tempo, anzi è stata dimenticata e abbandonata, nessuno l’ha seguita e imitata e quindi non si è evoluta con l’evolversi del cinema, ma è davvero più fastidiosa la maniera in cui il film non riesca a scendere dal suo podio con i dialoghi (“Sono solo capace di costruire case per gli altri!”) e la recitazione, di tutto questo essere démodé. La pomposa enfasi che lo vuole presentare come una grande opera, senza avere le spalle per sostenere quest’ambizione, è esattamente ciò che lo riduce a piccola opera, svilendo anche quel po’ di buono che effettivamente riesce e mettere a segno.

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