Dopo il matrimonio, la recensione
Da un film che scambiava i ruoli tradizionalmente assegnati a uomini e donne nel melò, questo remake di Dopo Il Matrimonio riscambiandoli li rimette a posto
La storia rimane quella dell’originale, c’è infatti un operatore in zone disagiate che si reca in un altro paese per vagliare la possibilità che una benefattrice sovvenzioni la sua impresa, proprio nei giorni in cui sta per avvenire il matrimonio della figlia, solo per scoprire che c’è qualcosa che la lega a quella famiglia di benefattori, che poi è il vero scopo per cui è stata contattata. A cambiare sono i sessi.
Susanne Bier aveva creato un film sorprendente e già aveva scambiato i sessi, attribuendo all’uomo il ruolo tradizionalmente della donna. In quel melodramma Mads Mikkelsen assorbiva su di sé il dolore, il suo era il corpo su cui si abbattevano il fato e la sventura. Di tutti i fatti e le scoperte che si susseguono le conseguenze sentimentali si abbattono su di lui. E sempre un uomo era poi il personaggio che alla fine maturava il sacrificio estremo per amore.
Non ne escono quindi bene nemmeno Julianne Moore e Michelle Williams, molto fuori parte e sempre in una condizione curiosa. Sanno cosa dovrebbe accadere, non vogliono interpretare le classiche donne da melò (perché tutta l’operazione ha un fare femminista) pur trovandosi dei personaggi che sono esattamente in quella posizione. Ecco perché, volendo per forza realizzare un film simile, serviva davvero un’altra penna, un’altra regia e un’altra idea di cinema, molto più complessa, profonda e strutturata.
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