Don't Make Me Go, la recensione
Tra il road movie e un doppio coming of age, Don't Make Me Go propone una storia commovente, ma mai sorprendente. La recensione
La nostra recensione di Don't Make Me Go, disponibile dal 15 luglio su Prime Video
Più che la regista Hannah Marks (giovane attrice qui al terzo film dietro la macchina da presa) l’autrice di Don't Make Me Go sembra essere la sua sceneggiatrice, Vera Herbert, già nel team di This is Us. Proprio dalla serie NBC ritroviamo l’abilità nel dipingere relazione famigliari e il focus sui sentimenti, con un clima commovente che stempera anche i momenti più tragici. Così, in Don’t Make Me Go, ad ogni screzio, ad ogni momento complicato ne segue uno divertente o di rilassamento e il clima generale è piuttosto confortante per lo spettatore. Nel lungometraggio presentato al Festival di Tribeca John Cho interpreta Max, un padre separato a cui viene diagnosticato un tumore al cervello. Consapevole di avere non più di un anno di vita, decide allora di usare il proprio tempo per fare un viaggio con la figlia sedicenne Wally (Mia Isaac) con la scusa di recarsi ad una rimpatriata di compagni del college. Ma la vera ragione è farla incontrare con la madre, che la ragazza non ha mai conosciuto.
Il modo in cui il film racconta le sue vicende è allora assai accurato e sentito, ma risente per come, piuttosto che puntare sui suoi aspetti più originali, preferisce appoggiarsi a un intreccio e uno scioglimento abbastanza prevedibile, ricorrendo un po' troppo alle scene madri, come un momento intimo sotto le stelle, o a facili ammiccamenti, come l'utilizzo in colonna sonora di The Passenger di Iggy Pop. In conclusione, dunque, Don't Make Me Go mantiene le proprie promesse, senza però mai deviare veramente da queste, neanche nel colpo di scena finale, certamente inaspettato ma che serve solamente a portare la storia dove già era chiaro che andasse.