Don't Look Up, la recensione

La storia di due scienziati con la notizia peggiore di sempre nel sistema mediatico meno penetrabile è ottima per un sketch meno per un film

Critico e giornalista cinematografico


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Don't Look Up, la recensione

L’impresa di Don’t Look Up è quella di prendere un’idea ottima per uno sketch del Saturday Night Live e farne un film di 2 ore e 25 minuti. Ed è riuscita, perché il film è ben ritmato e allungato, è inventivo e soprattutto fa molto ridere. Sarebbe perfetto se non avesse in realtà altri intenti.

Leonardo DiCaprio e Jennifer Lawrence (lei sicuramente più a suo agio di lui, ingessato in un personaggio che vorrebbe rendere complicato senza riuscirci) rimettono in scena la trama di Deep Impact, solo che questa volta vivono l’arrivo di una cometa che ci distruggerà con un panico realistico, mentre il mondo del potere e mediatico intorno a loro invece non batte ciglio. Questo è il contrasto che anima tutta la prima parte. I due scienziati con la notizia peggiore di sempre vengono trattati come una stranezza, nessuno si preoccupa davvero né si lascia scalfire. Il sistema mediatico e politico è impenetrabile. Ci sono quindi due protagonisti drammatici, quasi tragici, inseriti in un contesto farsesco (alcune gag ricorrenti sono eccezionali, come quella degli snack a pagamento), che ha comprimari da farsa e musiche da farsa. Un melange che non può dirsi sempre riuscito e anzi a tratti è possibile sentire lo stridere di un linguaggio contro l’altro, mai davvero amalgamati.

Perché oltre all’unione di commedia e dramma Don’t Look Up ha anche il compito complicato di applicare il linguaggio del cinema a quella che a tutti gli effetti è un’idea da sketch. Dello sketch questo film ha infatti l’intento satirico a corto raggio, verso l’attualità più spicciola (le figure prese in giro sono riconoscibili come i loro corrispettivi reali, come del resto lo è il tema), ha le celebrity tutte mascherate in una serie di cammei (mancano gli applausi al loro ingresso), ha lo spunto (cosa accadrebbe nel sistema mediatico di oggi se invece dei cambiamenti climatici scoprissimo una minaccia molto più clamorosa e rapida per il nostro pianeta?), ha la cornice di genere (tutto si svolge prendendo in giro i luoghi comuni del cinema catastrofico) e soprattutto lo schieramento sfacciato.

Adam McKay sembra però l’unico a non accorgersi che il suo è uno sketch molto lungo, una parodia e non una dramedy come gli piacerebbe. È facile notarlo dall’uso che fa del montaggio isterico e creativo (anche se ben poco utile o significativo, solo confuso e barocco) o anche da come ci riempie di controcampi di persone nei luoghi più disparati del mondo che seguono gli eventi in una moltitudine di modi e schermi, per gonfiare le proporzioni e implicazioni di una storia che, in realtà, è prettamente americana e molto introversa.

Lo vorrebbe molto ma non riesce mai a emanciparsi dal semplicismo degli sketch, dal solo ribaltamento comico come metodo espressivo e dall’uso di personaggi senza complessità. Non lo sono i comprimari ma non lo sono nemmeno i protagonisti. Il dramma è sempre un dramma da operetta che tuttavia non abbraccia in pieno il grottesco o il paradossale.

Da un lato c’è il piede tenuto nella staffa della serietà che impedisce al film di essere davvero serio (perché non sì fida dell’umorismo come veicolo), dall’altro quello nella staffa del comico che è confinato alle gag e non allo svelamento di qualcosa. Non è mai Il dottor Stranamore (che spinge così tanto sulla satira da dire qualcosa proprio con le sue immagini comiche) e non è di certo West Wing, nella maniera in cui dipinge i meccanismi del potere. Non è Oliver Stone né il primo Woody Allen. È semmai il primo McKay quello che davvero ha diretto sketch del Saturday Night Live, alle prese con una sceneggiatura presa da uno spunto di David Sirota, giornalista con alle spalle una carriera politica al fianco di Bernie Sanders.

Sei d'accordo con la nostra recensione di Don't Look Up? scrivicelo nei commenti! Il film esce oggi al cinema e il 24 dicembre su Netflix.

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