Dolmen, un soulslike ambientato nello spazio | Recensione

Dolmen è un titolo con qualche buona idea, ma racchiusa in un guscio troppo acerbo per essere apprezzato dal grande pubblico

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Quando ci si imbatte in giochi come Dolmen, la paura è di trovarsi di fronte a un clone poco riuscito delle varie opere targate From Software. Sin dal suo annuncio, però, il titolo sviluppato da Massive Work Studio ha dimostrato una propria identità, capace di mescolare atmosfere sci-fi con meccaniche all’apparenza innovative. Con il procedere del tempo e la pubblicazione di nuovi video, ci sono però sorti i primi dubbi. Dubbi relativi a una ridondanza estetica di fondo e a un’apparente legnosità dei movimenti.

Dopo aver passato le ultime settimane a esplorare lo spazio profondo, siamo finalmente pronti per farvi sapere la nostra opinione su Dolmen. Sarà riuscito a conquistarci come alla sua prima apparizione, oppure qualcosa è andato storto durante la lavorazione?

STORIA DI UN POTENZIALE SPRECATO

Da un punto di vista narrativo, Dolmen è la classica opera grezza, ma che nasconde del potenziale. La trama vede un soldato noto come “il Comandante” venir scelto per esplorare il pianeta Revion Prime, sotto attacco da una forza misteriosa. Basteranno poche ore per scoprire come gli scienziati del posto stessero facendo dei test sul Dolmen, un cristallo in grado di eliminare la barriera che separa le varie dimensioni. È proprio da una di esse che si insinua nella nostra realtà un male profondo, intenzionato a diffondersi come un morbo nell'universo. 

L’idea di fondo è senza dubbio interessante, nonostante gli evidenti richiami a opere ben più affascinanti come Dead Space. Il problema è che non ci sono cut-scene o grandi dialoghi a portare avanti la narrazione. Persino la lore tanto cara a Miyazaki non è così presente come richiederebbe una titolo di questo tipo. Nei tre atti che compongono la trama principale (lunga circa 15 ore) ci sono un paio di momenti interessanti, ma è innegabile che la monotonia faccia da padrona per la maggior parte del tempo. Un peccato, visto il potenziale di un racconto di questo stampo.

Dolmen

TAGLIA E SPARA

Com’era lecito aspettarsi dai filmati che hanno preceduto il lancio, Dolmen è un soulslike abbastanza classico, ma con qualche valida idea. Da un lato abbiamo i combattimenti all’arma bianca, che ci permettono di alternare colpi leggeri a colpi pesanti. Dall’altro, invece, abbiamo le “bocche da fuoco”, che consumano una barra dell’energia che si ricarica col tempo. 

Questa doppia struttura del combat system ci è piaciuta molto e abbiamo trovato coraggiosa l’idea di affidare anche la guarigione del Comandante alla suddetta barra dell’energia. Consumandone una parte, infatti, è possibile ripristinare la propria salute. Saremo costretti quindi a scegliere se affrontare le varie aree con determinazione, sparando a ogni cosa che si muove, o con cautela, preparandoci a una rapida guarigione in caso di ferite troppo gravi. Comprendere questa meccanica è alla base del gameplay di Dolmen. Non riuscire a farlo significa passare le prime ore a morire ripetutamente anche contro i nemici più deboli.

Il problema principale della creatura di Massive Work Studio non è però da ricercarsi nelle idee di fondo, bensì nella loro realizzazione. Lo shooting è approssimativo e i combattimenti corpo a corpo non trasmettono la giusta dose di potenza al giocatore. A questo si aggiunge un level design noioso e alcuni dettagli fastidiosi nella struttura di gioco. Dettagli come la necessità di tornare alla base per poter potenziare il personaggio, senza poter incrementare le proprie statistiche nel corso del livello.

Dolmen

ARTISTICAMENTE POCO ISPIRATO

Quando un titolo presenta una modellazione poligonale di questo livello, gli sviluppatori tentano sempre di compensare con un comparto artistico di grande spessore. Dolmen, purtroppo, non brilla né per il design degli ambienti, né per quello dei nemici. Come da titolo di paragrafo, potremmo definire il gioco come “poco ispirato”. Un risultato che, assieme a una soundtrack a dir poco dimenticabile, non permette al titolo di brillare sotto nessun aspetto tecnico.

Come se non bastasse, durante la nostra prova su PlayStation 5 abbiamo riscontrato diversi cali di frame, nonostante avessimo scelto la modalità in grado di garantire i 60 frame al secondo.

Dolmen non è un vero e proprio disastro. Dolmen è un esperimento mal riuscito di un team che ha però delle idee ben chiare in mente. I ragazzi di Massive Work Studio dovrebbero imparare dai propri errori, maturando artisticamente e cercando di dare vita a un titolo più contenuto, in linea con le loro forze. Se siete a digiuno di soulslike (ma lo vediamo difficile, dopo Elden Ring), questo potrebbe essere un titolo da mettere nella propria wishlist in attesa che scenda di prezzo (dato l’elevato costo di circa 40 euro). Per tutti gli altri, invece, il nostro consiglio è quello di volgere lo sguardo altrove.

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