Dolittle, la recensione

Privo di personalità, così generico da non sembrare nemmeno un primo episodio di un franchise, Dolittle è un adattamento fiacco e stanco

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

DOLITTLE, DI STEPHEN GAGHAN: LA RECENSIONE

Il modello non dichiarato di Dolittle non sono tanto i romanzi per bambini in cui è comparso per la prima volta il personaggio e di certo non gli adattamenti precedenti a questo (a parte quello diretto da Richard Fleischer del ‘67), semmai i film in cui un personaggio in carne e ossa gestisce un’ingestibile banda di personaggi in computer grafica, quello che nell’era moderna è stato canonizzato dal successo di Neil Patrick Harris con I Puffi. A quel modello, questo film diretto dal regista di Syriana e Gold nonché sceneggiatore di Traffic (?!) non aggiunge molto se non una patina di esotismo avventuroso veramente blanda.

Robert Downey Jr. dovrebbe duettare con una serie di personaggi che non sono sul set alla ricerca di un antidoto al male che affligge la regina d’Inghilterra, seguendo le orme di indizi lasciati dalla sua ex misteriosamente scomparsa (avete letto bene, un gruppo di tutti uomini e animali cerca di salvare una donna che non si muove mai, al cui capezzale rimane un animale doppiato da una donna, e per farlo si ispirano ad un’altra donna che non si vede mai). Eppure, nonostante sembri una missione perfetta per lui, che nel dialogo screwball dà il meglio e che riesce a creare personaggi anche là dove ci sono proprietà intellettuali di buona notorietà, lo stesso non riesce. Proprio non riesce ad animare il film più di quanto non facciano i personaggi animati.

Se in Sherlock Holmes aveva creato un personaggio audace e innovativo, interpretabile in modo credibile solo da lui perché molto aderente a quelle che sono le sue caratteristiche come attore, qui anima un personaggio interpretabile da chiunque. Il Dr. Dolittle di Eddie Murphy, sebbene preso in avventure ben più urbane, aveva più personalità. Così anche tutte le intenzioni di world building che paiono essere il fine principale del film (costruire e fondare una mitologia che possa essere sfruttata in più seguiti) si regge su uno stuzzicadenti, sull’esile interpretazione del protagonista assoluto.

Che Dolittle abbia ambizioni mondiali lo si capisce bene dalla struttura e da come crei la consueta banda che si percepisce come una “famiglia” (verrà detto chiaramente a un certo punto), ingrediente al momento quasi indispensabile per un incasso mondiale. Eppure il film sembra proprio non avere le spalle sufficientemente larghe per la serialità cinematografica, non sembra avere quella forza propulsiva capace di alimentare diversi sequel prevedibilmente più fiacchi. Questo primo film di Dolittle sembra già il quarto della serie, usurato e privo di idee, stanco e ricalcato su una lunga serie di luoghi così comuni da fiaccare ogni divertimento.

Continua a leggere su BadTaste