Dolcissime, la recensione

Bullismo, corpo della donna, difficoltà adolescenziali, bisogno di accettarsi: in Dolcissime tutto è raccontato nella maniera meno credibile possibile

Critico e giornalista cinematografico


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Marco D’Amore alla sceneggiatura e Francesco Ghiaccio alla regia e sceneggiatura (il team che realizzerà L’Immortale, lo spin-off di Gomorra centrato su Ciro) realizzano Dolcissime, un film sportivo al femminile, uno che insieme combatte il body shaming (le protagoniste sono tre amiche prese in giro perché sovrappeso) con un capovolgimento tipico di commedie come Quattro Sottozero (invece di vergognarsi di andare in piscina decideranno di formare un trio di nuoto sincronizzato per gareggiare anche se non l'hanno mai fatto e sembrano non adeguate), tutto nella cornice del cinema sportivo post-Rocky (quello in cui un obiettivo sportivo è in realtà il pretesto per il raggiungimento di un obiettivo umano e per il miglioramento di sè).

Le Dolcissime sono una squadra che deve davvero diventare tale. Facendolo risolve il conflitto con la ragazza carina, magra e capitano del team di nuoto sincronizzato del liceo, la stessa che inizialmente aveva diffuso online un loro video in costume per deriderle. L’annullamento di questo conflitto arriverà quasi subito e proprio il loro nemico sarà la persona che dovrà allenarle e trasformarle. Accade così che progressivamente, nonostante Dolcissime voglia aderire al cinema sportivo, ne neghi i presupposti molto maschili (contrapposizione a un nemico, lotta per migliorarsi, obiettivi chiari e decisioni di ferro) e cerchi un percorso più femminile per arrivare al miglioramento umano tramite lo sforzo fisico (risoluzione dei conflitti, accettazione, compromessi e mediazioni). Il miglioramento di sé e della propria vita tramite il lavoro sul corpo e la fatica tipico di questo genere insomma è sostituito dal suo contrario: imparare ad accettarsi.

È narrativamente molto complicato (per non dire apertamente "difficile") appoggiarsi a un genere ribaltandone struttura e valori di fondo, un'impresa che Dolcissime non sembra davvero avere le spalle e la forza per compiere. Non ha infatti un cast in grado di recitare a un livello sufficiente per quello che gli viene chiesto di interpretare, inoltre molte delle battute che sono chiamati a pronunciare spesso non hanno senso (“È il nostro modo di dire che ci siamo anche noi” è un modo un po' banale per dare l'idea di un desiderio di riscatto). Più di tutto però il film non ha una struttura solida. I personaggi prendono decisioni e compiono valutazioni sempre repentinamente, spesso poi le capovolgono altrettanto rapidamente e tutto senza motivazioni che il pubblico possa comprendere a un livello più profondo del solo averle ascoltate.

A partire dalla scelta di darsi al nuoto sincronizzato le protagoniste sembrano vivere di colpi di testa, tra di loro passano dall’odio all’affetto senza costruire svolte, scelte o sentimenti. In questa mancanza di coesione si sente subito l’assenza di coerenza emotiva. Accade così che come molti film ad esso simili (italiani, legati agli adolescenti, con una patina di genere) Dolcissime mostri di avere seri problemi di interazioni realistiche, e la cosa affossi la credibilità sentimentale. Non crediamo nemmeno per un momento ai loro sentimenti perché nonostante la sceneggiatura glieli faccia pronunciare e spiegare a chiare lettere, la maniera in cui interagiscono non ce li fa percepire o ce li fa percepire come artificiosi, recitati, fasulli.

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