Dolcissime, la recensione
Bullismo, corpo della donna, difficoltà adolescenziali, bisogno di accettarsi: in Dolcissime tutto è raccontato nella maniera meno credibile possibile
Le Dolcissime sono una squadra che deve davvero diventare tale. Facendolo risolve il conflitto con la ragazza carina, magra e capitano del team di nuoto sincronizzato del liceo, la stessa che inizialmente aveva diffuso online un loro video in costume per deriderle. L’annullamento di questo conflitto arriverà quasi subito e proprio il loro nemico sarà la persona che dovrà allenarle e trasformarle. Accade così che progressivamente, nonostante Dolcissime voglia aderire al cinema sportivo, ne neghi i presupposti molto maschili (contrapposizione a un nemico, lotta per migliorarsi, obiettivi chiari e decisioni di ferro) e cerchi un percorso più femminile per arrivare al miglioramento umano tramite lo sforzo fisico (risoluzione dei conflitti, accettazione, compromessi e mediazioni). Il miglioramento di sé e della propria vita tramite il lavoro sul corpo e la fatica tipico di questo genere insomma è sostituito dal suo contrario: imparare ad accettarsi.
A partire dalla scelta di darsi al nuoto sincronizzato le protagoniste sembrano vivere di colpi di testa, tra di loro passano dall’odio all’affetto senza costruire svolte, scelte o sentimenti. In questa mancanza di coesione si sente subito l’assenza di coerenza emotiva. Accade così che come molti film ad esso simili (italiani, legati agli adolescenti, con una patina di genere) Dolcissime mostri di avere seri problemi di interazioni realistiche, e la cosa affossi la credibilità sentimentale. Non crediamo nemmeno per un momento ai loro sentimenti perché nonostante la sceneggiatura glieli faccia pronunciare e spiegare a chiare lettere, la maniera in cui interagiscono non ce li fa percepire o ce li fa percepire come artificiosi, recitati, fasulli.