La recensione di Doggy Style, il film con cani parlanti in uscita in sala il 14 settembre
C’è sola e una ragione per la quale
Doggy Style è interessante, e non ha a che vedere tanto con il film in sé ma più che altro con quello che il film rappresenta dal punto di vista industriale, ovvero un altro capitolo nel libro della riscoperta del potenziale del cinema commerciale vietato ai minori da parte degli studios. Questa volta è Universal (dopo il film d’animazione
Sausage Party della Warner ma anche gli esperimenti di Fox, anni fa, con
Deadpool) e tutta la trama di
Doggy Style potrebbe essere sintetizzata in: “Un gruppo di cani randagi si alleano per far tornare un cane abbandonato dal suo padrone, e nel farlo dicono tantissime parolacce”. Il potenziale divertente ci sarebbe pure, specialmente perché il punto sarebbe di farlo con un tipo di storia e personaggi con i quali di solito si fa cinema per famiglie. Peccato che il film quel potenziale poi non lo sfrutti mai.
L’idea che Doggy Style ha di umorismo senza limiti e paletti è far parlare i cani continuamente di piselli (i loro e quelli degli umani). Un’ossessione. E quando non è quello sono gli escrementi. Nonostante alla produzione figurino Lord e Miller lo stesso sembra che l’intento sia tagliare fuori qualsiasi spettatore minimamente sofisticato. Per il resto in realtà il film rientra pienamente nel cinema per famiglie da cui vorrebbe prendere le distanze. È una storia di buonissimi sentimenti, di emancipazione di un cane da un pessimo padrone e di vendetta nei confronti di questa persona orribile (però l’idea che tutta la missione dei cani sia di fare un viaggio lunghissimo solo per andare a staccare il pene a quell’uomo è divertente). È un film in cui si forgiano amicizie, si fanno le cose giuste, ci si riconcilia con il proprio passato e via dicendo.
Questo film buonista non è mai veramente per adulti, ma per ragazzini desiderosi di provare il brivido del proibito in sicurezza guardando qualcosa che pensano sia per adulti (o che almeno si spaccia per tale), ma in realtà in tutto e per tutto un film per loro. Nel farlo viene sprecato senza un perché il genio di
Will Ferrell (doppiatore del cane protagonista), confinato a un ruolo in cui non ha nessun modo di sfruttare la sua astuzia comica o la sua capacità di muoversi tra registri. Eppure non è nemmeno questa la parte più deprimente di un film in tutto e per tutto medio (con un‘ottima realizzazione tecnica, questo va ammesso), ma è testimoniare la disperazione degli attori umani coinvolti in film come questi in cui i protagonisti sono gli animali e loro servono come spalle.