Doctor Strange nel multiverso della follia, la recensione
È un tassello importante della grande trama Doctor Strange nel multiverso della follia e nonostante funzioni bene non è uno dei Marvel migliori
Prima le cose importanti: si sente la presenza di Sam Raimi? Sì, si sente ma non da subito. Più Doctor Strange nel multiverso della follia avanza e più monta e viene costruito il mondo di effetti analogici e digitali, piccole e grandi mostruosità, quel piacere del fare (e guardare) un B movie divertendosi che (assieme a Bruce Campbell) è il marchio di Raimi. Come se si dovesse guadagnare il diritto a rientrare nel mondo dei cinecomic che ha contribuito a creare, in questo film Sam Raimi inizia con lo stile invisibile Marvel e scavandosi lentamente le sue ossessioni fino a farle esplodere in un’ultima parte che, per come è scritta, davvero poteva metterla in scena solo lui con questa sicurezza in sé e nella capacità di non scadere nel ridicolo. Insomma visto cosa prevede in molti potevano girare la sceneggiatura di Doctor Strange nel multiverso della follia, ma solo Raimi poteva farlo bene.
Come ampiamente annunciato dal trailer vedremo più di una versione di Stephen Strange, in uno show di Cumberbatch che ribadisce la sua gran capacità di incarnare un personaggio che non somiglia a nessun altro anche quando è in borghese. Non somiglia perché come il Tony Stark di Robert Downey Jr. si muove diversamente, in una maniera solo sua, che ha anche un suo modo di mettersi la cravatta o scavalcare una balconata, tutto con una fluidità in ogni gesto che trasuda un diverso background. Qui più che altrove Cumberbatch riesce a far convivere insieme un aplomb austero e temibile consono alla figura, con una vita a tratti demenziale e una cronica tendenza a fare errori (cosa in comune con gli altri sé di altre dimensioni).
Sul lato del trasporto personale, però, abbiamo visto di meglio dai Marvel Studios.
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