Doctor Strange nel multiverso della follia, la recensione

È un tassello importante della grande trama Doctor Strange nel multiverso della follia e nonostante funzioni bene non è uno dei Marvel migliori

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Doctor Strange nel multiverso della follia, dal 4 maggio al cinema

Prima le cose importanti: si sente la presenza di Sam Raimi? Sì, si sente ma non da subito. Più Doctor Strange nel multiverso della follia avanza e più monta e viene costruito il mondo di effetti analogici e digitali, piccole e grandi mostruosità, quel piacere del fare (e guardare) un B movie divertendosi che (assieme a Bruce Campbell) è il marchio di Raimi. Come se si dovesse guadagnare il diritto a rientrare nel mondo dei cinecomic che ha contribuito a creare, in questo film Sam Raimi inizia con lo stile invisibile Marvel e scavandosi lentamente le sue ossessioni fino a farle esplodere in un’ultima parte che, per come è scritta, davvero poteva metterla in scena solo lui con questa sicurezza in sé e nella capacità di non scadere nel ridicolo. Insomma visto cosa prevede in molti potevano girare la sceneggiatura di Doctor Strange nel multiverso della follia, ma solo Raimi poteva farlo bene.

La prima cosa che scopriamo in questo film, i cui due personaggi principali sono introdotti dai loro rispettivi sogni, è che proprio i sogni sono finestre su cosa accade alle nostre versioni in altri universi (indizio forse utile in futuro) e lungo la storia impariamo bene come funzioni il passaggio dall’una all’altra, soprattutto grazie ad America Chavez, nuovo personaggio il cui potere (che non controlla) è proprio di passare da una dimensione all’altra. Con lei Strange cercherà di fermare il grande collasso in una storia che è un unico grande scontro con il villain del film, uno che parte al minuto 20 e finisce al termine di tutto.

Come ampiamente annunciato dal trailer vedremo più di una versione di Stephen Strange, in uno show di Cumberbatch che ribadisce la sua gran capacità di incarnare un personaggio che non somiglia a nessun altro anche quando è in borghese. Non somiglia perché come il Tony Stark di Robert Downey Jr. si muove diversamente, in una maniera solo sua, che ha anche un suo modo di mettersi la cravatta o scavalcare una balconata, tutto con una fluidità in ogni gesto che trasuda un diverso background. Qui più che altrove Cumberbatch riesce a far convivere insieme un aplomb austero e temibile consono alla figura, con una vita a tratti demenziale e una cronica tendenza a fare errori (cosa in comune con gli altri sé di altre dimensioni).

Ma è inevitabilmente Raimi la star di un film che si apprezza più per le variazioni e gli assoli da B movie che per la sua tenuta generale. Doctor Strange nel multiverso della follia è un film Marvel 100% ed è anche uno cruciale dal punto di vista dell’avanzamento della grande trama, ne ha quindi ritmo, leggerezza, ironia e montaggio impeccabili. È godibile e scorre benissimo ma non è uno dei film migliori dello studio. Non trova né il sentimentalismo perduto di Spider-man No Way Home, né la sorpresa di Avengers: Infinity War né certo la freschezza del primo Iron Man o il senso del rischio di The Avengers. È semmai un film imprevedibile (questo sì) molto in linea con il primo dedicato al Doctor Strange, molto focalizzato sul mondo magico e dotato di quella gran capacità di Raimi di andare dritto al punto, senza perdersi in chiacchiere.

Sul lato del trasporto personale, però, abbiamo visto di meglio dai Marvel Studios.

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