Doctor Aphra #1, la recensione
La nuova incarnazione editoriale di Doctor Aphra prende il meglio dalla precedente e abbraccia le meta-origini archeologiche della sua protagonista
Che il creatore della Dottoressa Aphra, lo sceneggiatore inglese Kieron Gillen, si sia ispirato a Indiana Jones per il suo personaggio starwarsiano non è un mistero: gli ammiccamenti, le citazioni e le situazioni parallele non mancano mai, e gli stessi ambienti in cui si muovono la sfuggente archeologa e i suoi improbabili alleati sono debitori di molto al mito dell’avventuriero con frusta e cappello: templi, artefatti, università, giungle e un onnipresente squadrone di Imperiali pronto a guastare la festa a un’eroina – via, diciamo protagonista – perennemente nei guai.
Una rapida carrellata degli eventi, dei personaggi e delle trame presentati in questo numero dà l’impressione di trovarsi di fronte a un’antologia dei grandi classici dell’avventura Abbiamo la caccia al tesoro iniziale, vale a dire gli Anelli di Vaale, misteriosi artefatti dal grande valore economico e accademico, e a quanto pare anche soprannaturale, in grado di donare grande fortuna e gloria al possessore, ma naturalmente anche afflitti, almeno stando alle voci, da una maledizione.
Abbiamo il raduno della squadra che la accompagnerà nell’impresa, e a ogni membro del team viene concessa qualche pagina per definirne motivazioni, carattere, idiosincrasie e difetti. Tutti i membri della squadra di Aphra sono archetipali, dal giovane avventuriero affascinante e privo di scrupoli che entra in squadra just for the money all’entusiasta e idealistica ricercatrice universitaria che partecipa per la cultura e per gli ideali.
Questo non dovrebbe sorprenderci più di tanto - Star Wars gioca da sempre con gli archetipi della narrativa pulp - ma stavolta la presentazione dei nuovi personaggi avviene in modo pulito, lineare e convincente, al punto che il lettore si sente a sua volta parte della squadra e impaziente di partire all’avventura. Impresa meno scontata del previsto se pensiamo che soltanto pochi mesi fa, in circostanze estremamente simili, il numero #1 di Bounty Hunters ci presentava una partenza confusa, frammentaria e meno godibile di quando ci si aspettasse.
L’ultimo tassello che manca prima di poter partire all’avventura, naturalmente, è l’entrata in scena degli antagonisti. La Wong recupera un’altra vecchia gloria della prima serie Marvel, la famiglia Tagge (i lettori più attempati o accaniti noteranno perfino un riferimento alla Domina Tagge delle storie di Archie Goodwin e Carmine Infantino). Nel nuovo canone, costoro sembrano debitori nelle fattezze e nei comportamenti a un’altra famosa famiglia della narrativa fantastica, i Malfoy, di cui condividono la ricchezza, l’arroganza e la totale mancanza di scrupoli. Vale doppio per l’antagonista principale, Ronen Tagge, frutto dell’incrocio genetico tra il Draco della suddetta famiglia e l’inossidabile Belloq, immagine speculare e contraria dell’Indiana Jones progenitore di tutta la storia.
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In sintesi, la Wong gioca con pezzi, volti, ruoli e situazioni impresse nell’immaginario collettivo, ma riesce nel non facile compito di fornire un risultato fresco, nuovo e divertente usando elementi che nuovi non sono. Parte del merito va sicuramente alla protagonista, che nonostante tutti i cliché di cui possa essere attorniata, è garanzia che le cose non andranno mai come ci si aspetta, e parte va all’ambientazione, perché l’esperienza di vivere un film di Indiana Jones ambientato nell’universo di Star Wars ancora non l’avevamo mai vissuta appieno.
Si presenta preparata alla prova anche la disegnatrice Marika Cresta, a suo agio soprattutto sul cast dei nuovi personaggi (risulta evidente l’appassionato lavoro di studio su ognuno di essi). Espressivi nel “recitare” e visivamente caratterizzati in modo coerente con il loro ruolo e il loro carattere. Proprio come la sceneggiatrice, anche la disegnatrice “pesca” stili e riferimenti visivi qua e là mescolandoli in un insieme fresco ed energico che si combina ottimamente con lo stile della storia.
In conclusione: fatta salva la clausola tipica dei numeri #1, vale a dire che sarà necessario scoprire quando e come le buone premesse iniziali fioriranno a dovere, la nuova serie di Aphra prende il meglio di quanto poteva ereditare da quella vecchia, abbraccia le meta-origini archeologiche della protagonista e promette un’avventura divertente, movimentata e non troppo cupa, nella migliore tradizione dello Star Wars più vintage.
Sono numerose le offerte che il 2020 starwarsiano a fumetti mette sul piatto, ma se dovessimo giudicare dai soli numeri #1, la nuova serie di Doctor Aphra è quella su cui punteremmo e che si candida a essere forse la migliore.