Djungle vol. 1: La strada per Joyland, la recensione

Abbiamo recensito per voi l'esordio di Djungle, di Tommaso Vitiello, Marco Itri e Francesca Carotenuto

Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.


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A chi si fosse perso il primo volume di Djungle, arrivato sugli scaffali lo scorso 28 aprile e presentato all'ultima edizione di Napoli Comicon, consigliamo di andarselo a recuperare in fumetteria, poiché non se ne pentirà.

Il progetto è una DOP decisamente nostrana, pubblicata da Panini Comics attraverso la cura dell'editor Diego Malara, scritta da Tommaso Vitiello, illustrata da Marco Itri – autore anche della copertina - e colorata da Francesca Carotenuto. Conviene nominare subito gli artefici di questa piacevole sorpresa, in quanto sfogliandola si potrebbe essere colti da qualche dubbio sulla provenienza e magari confonderla, per la sua singolarità, con un prodotto estero. Si tratta infatti di un fumetto coraggioso e inusuale per il nostro mercato.

La forza di questo fumetto non sta certo nella trama, costruita sull’intelaiatura stereotipata alla base di ogni storia di vendetta e a maggior ragione di un western. Lev è un leone bianco, ferito nel profondo dello spirito, alla disperata caccia del bandito che gli ha stravolto la vita e la famiglia.

Il gioco di parole del titolo è divertente e unisce il termine inglese “jungle” ("giungla") – evidente riferimento ai protagonisti animaleschi del racconto - a Django, ormai divenuto quasi sinonimo di pistolero e western. Il giustiziere solitario protagonista dell'opera assomiglia più a quello dell’omonimo film del 1966 di Sergio Corbucci che non alla recente rivisitazione Django Unchained del 2012, di Quentin Tarantino; una chiara e orgogliosa rivendicazione di un genere tutto nostro, che ha in Sergio Leone il suo massimo esponente.

L’idea dei tre giovani talenti campani, con non poche esperienze alle spalle, è genuina e geniale per la sua semplicità: recuperare l’immaginario fiabesco fondato sulla personificazione degli animali o sul suo esatto contrario, la rappresentazione ferina delle attitudini della nostra specie; è una predisposizione innata dell'Io che si perde nelle origini dei culti animisti e totemici, agli albori del sentimento religioso, poi evolutasi nelle varie tipologie di politeismo, fino alle formulazioni più dissimulate del Cristianesimo. Spesso, il dualismo e il connubio uomo-animale vengono da noi utilizzati per rispondere a quell'esigenza di ridisegnare - se non di ribaltare in una dimensione alternativa - i nostri rapporti sociali, economici, politici e affettivi. Il bisogno di trasporli è un modo efficace per oggettivarli, allineandoli per poterli osservare da spettatore mettendone alla prova la solidità o l’insita debolezza, è il tentativo di esorcizzare la loro fragilità e di arginare la nostra arroganza. La trasfigurazione del mondo animale adattata per descrivere quello umano entra prepotentemente e in maniera definitiva nella Nona Arte e nella cultura popolare con i personaggi di Walt Disney e raggiunge il vertice più tragico con Maus, di Art Spiegelman, ma la duttilità della materia è pressoché infinita.

I rimandi diretti, quasi obbligati di Djungle, sono a Kamandi e a Blacksad. Un confronto impari, spropositato: eppure, Djungle è un universo straordinariamente affascinante e credibile, pur essendo totalmente fantastico. Riguardo al capolavoro di Jack Kirby, fornisce un contesto meno esotico e solo l'eco di un'ambientazione post-apocalittica, risultando più vicino ai gusti del lettore cresciuto con Tex e Dylan Dog; in merito al realismo del gioiello di Juan Díaz Canales e Juanjo Guarnido, mostra una netta impronta fantasy, oltre che uno schema libero e moderno della griglia, un uso assai cinematografico della sequenzialità e della regia, di sicura presa sulle giovani generazioni.

Il valore di Djungle è giustificato da una freschezza e da una profondità narrativa coinvolgenti, dallo spessore dei soggetti e dalla loro straripante potenza espressiva, esaltata da una performance artistica di assoluto rilievo.

Siamo sicuri che La strada per Joyland sia solo il primo capitolo di una saga che ci accompagnerà in territori inesplorati: là, dove il selvaggio West è ancora più selvaggio.

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