Divergent, la recensione
Forse anche troppo sulla scia di Hunger Games e con scarso contributo di Neil Burger, l'adattamento del primo romanzo della trilogia di Veronica Roth coinvolge poco...
E' obbligata a diventare un successo cinematografico anche la trilogia di Veronica Roth che si apre con Divergent. Letteratura per giovani adulti con protagonista femminile, enfasi sui sentimenti ma piegata su un genere e dotata di una trama da storie per ragazzi.
Siamo dunque nel solco del nuovo genere di avventure romantiche iniziato da Twilight e, nello specifico, per nulla lontani da Hunger Games (manca solo la doppia storia d'amore con due pretendenti di opposte tipologie). C'è una società del futuro che sembra una del passato (primitiva per molti versi ma dotata di tecnologia avanzatissima), nella quale i ragazzi sono obbligati dalla classe dominante (che ha l'età dei loro genitori) a traumi sentimentali e separazioni e in cui una ragazza si rivela diversa da tutti gli altri. Il test della protagonista di Divergent infatti non dà risultati chiari, non rientra in nessuna categoria e questo la mette in pericolo, i diversi del titolo infatti sono cercati e messi al bando oppure proprio soppressi perchè la loro esistenza sovverte l'ordine su cui si regge tutto. Come nel romanzo di Suzanne Collins la naturale attitudine e l'atteggiamento spontaneo di una ragazza pongono in crisi l'intero sistema sociale in cui vive, caricandola di responsabilità in un contesto avventuroso in cui, tuttavia, trova l'amore.
Mentre il racconto procede nella consueta metafora del conflitto generazionale e dell'amore funestato dalle leggi sociali, solo su una scala magnificata e con contaminazioni fantastiche, il film non gli sta appresso, appiattito sempre sul medesimo tono, incapace di cambiare ritmo, andamento e tono con il mutare delle situazioni.