Divergent, la recensione

Forse anche troppo sulla scia di Hunger Games e con scarso contributo di Neil Burger, l'adattamento del primo romanzo della trilogia di Veronica Roth coinvolge poco...

Critico e giornalista cinematografico


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E' obbligata a diventare un successo cinematografico anche la trilogia di Veronica Roth che si apre con Divergent. Letteratura per giovani adulti con protagonista femminile, enfasi sui sentimenti ma piegata su un genere e dotata di una trama da storie per ragazzi.

In un futuro nel quale un imprecisato conflitto bellico ha distrutto buona parte del mondo e della civiltà, la civiltà si è riformata dividendosi in 5 fazioni: i cuori candidi che coltivano la terra e provvedono al nutrimento per tutti, gli studiosi che sanno tutto, gli onesti che conducono i processi, gli altruisti che governano e gli spericolati che mantengono la sicurezza. Ogni adolescente, raggiunta una certa età e dopo aver condotto su se stesso un test che determina a quale fazione "dovrebbe" aderire, è obbligato a scegliere se rimanere nel gruppo in cui è nato o se cambiare e non vedere più la propria famiglia.

Siamo dunque nel solco del nuovo genere di avventure romantiche iniziato da Twilight e, nello specifico, per nulla lontani da Hunger Games (manca solo la doppia storia d'amore con due pretendenti di opposte tipologie). C'è una società del futuro che sembra una del passato (primitiva per molti versi ma dotata di tecnologia avanzatissima), nella quale i ragazzi sono obbligati dalla classe dominante (che ha l'età dei loro genitori) a traumi sentimentali e separazioni e in cui una ragazza si rivela diversa da tutti gli altri. Il test della protagonista di Divergent infatti non dà risultati chiari, non rientra in nessuna categoria e questo la mette in pericolo, i diversi del titolo infatti sono cercati e messi al bando oppure proprio soppressi perchè la loro esistenza sovverte l'ordine su cui si regge tutto. Come nel romanzo di Suzanne Collins la naturale attitudine e l'atteggiamento spontaneo di una ragazza pongono in crisi l'intero sistema sociale in cui vive, caricandola di responsabilità in un contesto avventuroso in cui, tuttavia, trova l'amore.

La versione per il cinema questa volta la cura Neil Burger, che con Limitless aveva dimostrato capacità narrative anche meglio di quanto fatto in precedenza con The Illusionist, tuttavia non siamo dalle parti del trattamento sopraffino che Gary Ross aveva riservato ad Hunger Games. Non solo la storia in sè ha diverse implausibilità (perchè vivere in una metropoli distrutta se si dispone di tecnologia futuristica??) ma anche il trattamento di Burger è molto piatto, appoggiato sulle spalle di giovani attori non propriamente esperti, accompagnati da un cast di nomi più forti anch'essi fuori forma (Kate Winslet inclusa). Come se non bastasse l'adattamento per lo schermo ha pochissimo senso della narrazione per immagini e una certa stanca ripetitività sia nella riproposizione dei medesimi scenari sia nella loro essenza (esiste qualcosa di più stupido e fasullo della zona con burroni in cui vivono gli Intrepidi?). Tutto sembra da poco, molto è incongruente e soprattutto non si ha mai l'impressione di assistere a patemi realistici.

Mentre il racconto procede nella consueta metafora del conflitto generazionale e dell'amore funestato dalle leggi sociali, solo su una scala magnificata e con contaminazioni fantastiche, il film non gli sta appresso, appiattito sempre sul medesimo tono, incapace di cambiare ritmo, andamento e tono con il mutare delle situazioni.

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