Disincanto (quarta parte): la recensione
Giunto alla quarta parte, Disincanto dà finalmente delle risposte, ma risulta ancora incostante: la recensione della serie animata Netflix
Ormai giunti alla quarta parte (o seconda parte della seconda stagione se preferite) bisognerebbe essere consci di cosa è Disincanto, la serie animata Netflix ideata da Matt Groening ambientata in un mondo non così magico come sembra. Eppure, i primi a non sapere ancora cosa vogliono e chi sono sembrano proprio i protagonisti delle sconclusionate vicende.
L'inizio di questa quarta parte di Disincanto convince pienamente: ogni protagonista ha il suo momento per brillare e arrivano finalmente alcune delle risposte più attese, come per esempio le origini di Elfo e del perché è così diverso dai suoi simili. Nel corso dei dieci episodi, inoltre, sia Bean sia suo padre Zog avranno l'ennesimo cambio di rotta, questa volta si spera definitivo. Se il re di Dreamland riuscirà a venire a patti coi suoi demoni interiori, la giovane protagonista dovrà ancora una volta toccare il fondo (quasi letteralmente) cercando sia di essere una buona regina, sia di trovare la sirena che le ha salvato la vita nel 2021. Sullo sfondo un Luci meno incisivo, condannato per ora al ruolo di comic relief, nonostante un ottimo inizio nel primo episodio. Il demone (doppiato da Eric Andre in originale, e da Alessandro Quarta in italiano) farà i conti con le sue scelte presenti e passate, che purtroppo non lasciano il segno quanto sperato. La trama orizzontale finalmente prosegue, e propone un'evoluzione del racconto che non si vedeva dal ritorno di Dagmar alla fine della prima parte, arrivando ai titoli di coda dell'ultimo episodio con genuino interesse su cosa succederà nel futuro di Dreamland.
È tempo di chiudere il racconto
Disincanto purtroppo inciampa su quelli che sono i suoi difetti più consolidati: l'eccessiva lunghezza degli episodi e il conseguente dilungarsi su questioni apparentemente irrisorie, che vengono risolte in pochi istanti dopo aver occupato decine di minuti nelle puntate precedenti. Quando ci si concentra sul trio principale (e di riflesso su Zog o Dagmar) la serie di Rough Draft Studios funziona e intrattiene. Anzi, riesce anche a divertire e a lasciare interessati su quanto viene finalmente svelato, portando l'intera esistenza di Dreamland verso il passo successivo. Purtroppo queste “grandi” rivelazioni sono alternate a momenti di stanca o di pura apparente casualità, momenti che continuano a sembrare fuori posto o scritti da qualcuno che passava per puro caso nella sala degli sceneggiatori. Ma, ed è un fattore da non sottovalutare, in questa quarta parte vengono ripresi dei dettagli che sembravano insignificanti nelle prime tre quindi, anche le scene che sembrano inutili, potrebbero guadagnare un senso in futuro. Il problema sta nella pazienza dello spettatore e nel troppo tirare una corda, dato che la fine è sicuramente più vicina di prima ma potrebbe essere comunque ancora un puntino all'orizzonte. È tempo che Bean metta la testa sulle spalle in maniera definitiva, e si riprenda ciò che è suo, portando a termine questa lunga e sconclusionata avventura.
Se avete apprezzato Disincanto finora, la quarta parte non vi deluderà e anzi vi darà finalmente qualche attesa risposta su alcuni dei suoi protagonisti. Se invece finora non avete trovato interessante la serie, non sarà certamente questo blocco di episodi a farvi cambiare idea. La trama orizzontale si sta dirigendo verso un punto d'arrivo che mi auguro venga confermato nei prossimi mesi, prima che Netflix chiuda i rubinetti e lasci tutto incompiuto.