Disclaimer, la recensione: la serie thriller di Cuarón tra eros e menzogna

La recensione di Disclaimer, serie diretta da Alfonso Cuarón con una Cate Blanchett in stato di grazia presentata al Festival di Venezia

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Prima che un dramma familiare sulla colpa e sul segreto, Disclaimer è anzitutto una riflessione sulla narrazione. Lo è per come è scritta; basti pensare all'onnipresenza delle voice over - chiaro rimando alla matrice letteraria della serie - che seguono i pensieri dei personaggi in un flusso di coscienza che richiama Joyce e Woolf, a creare una stratificazione narrativa tra parola e pensiero. Lo è per come è articolata su più linee temporali che si incastrano, treccia di fili che vanno a comporre un disegno che - ci illudiamo - creerà un quadro ventennale sempre più chiaro. Lo è per come è girata e montata, con sapienti cesure nei flashback ed ellissi studiate che mettono in risalto, anzitutto, la relatività del punto di vista dello spettatore e giocano con le sue convinzioni.

Ogni racconto è, di per sé, una mistificazione o una versione parziale della verità: questo è il messaggio ultimo che la serie scritta (adattando l'omonimo romanzo di Renée Knight) e diretta da Alfonso Cuarón porta al suo pubblico. Non è certo casuale il fatto che, al centro di un intrigo che porta a galla dolorose verità nascoste per anni, ci sia chi della verità ha fatto il baluardo della propria carriera. Protagonista di Disclaimer è, infatti, la documentarista Catherine Ravenscroft (Cate Blanchett nell'ennesima eccelsa performance). Il paradosso è subito messo dinanzi agli occhi dello spettatore: Catherine ha celato qualcosa per anni, e ora - suo malgrado - il passato sta venendo a bussare alla sua porta all'indomani del conseguimento di un importante premio come giornalista d'inchiesta. Premiata per aver raccontato la verità, punita per aver celato la verità: la morte di un giovane, avvenuta vent'anni prima in Italia, costringe la donna a confrontarsi con gli spettri mai pacificati della propria coscienza, affacciatisi sul suo presente nella forma di un misterioso romanzo che sembra parlare proprio di lei e di quell'oscura vicenda.

Kevin Kline in Disclaimer - la vita perfetta

Come Robert (Sacha Baron Cohen) e Nicholas (Kodi Smit-McPhee), rispettivamente marito e figlio della protagonista, anche il pubblico scopre pezzo dopo pezzo un capitolo nero del passato di Catherine, trovandosi ben presto di fronte a un "orribile ritratto femminile" che non può lasciare indifferenti, supportato da un mucchio di fotografie che lasciano poco spazio all'immaginazione. Eppure, ogni foto immortala un singolo momento, e persino un filmato deve rinunciare a qualche istante nella sua sintesi. Negli interstizi, nei respiri tra una nota e l'altra, c'è qualcosa di ignoto, di inafferrabile e, per questo, mistificabile. Ciò che interessa a Disclaimer è, dunque, edificare una verità per poi metterne in luce le crepe, evidenziare come il collage di frammenti sparsi costringa a riempire i vuoti con la fantasia, causando talvolta disastri.

Sorretta da una sontuosità formale che non fa rimpiangere le migliori opere del cineasta messicano, Disclaimer avvince grazie a una scrittura tesa e mai frettolosa, talvolta quasi estenuante nella sua lineare prevedibilità, eppure sempre ricca di un fascino ombroso. Un cast di comprimari in stato di grazia fa da corona alla splendida prova di Blanchett e del suo trasandato, febbricitante contraltare, un Kevin Kline che nel ruolo dello straziato professor Stephen Brigstocke raggiunge la vetta più alta della sua recente carriera. Proprio nell'ambivalenza del suo personaggio, giustiziere ossessivo dal cuore spezzato, si esemplifica al meglio l'essenza di Disclaimer: un monito inquietante sulla distorsione dei fatti, nonché un inno sinistro alla potenza immaginativa della narrazione.

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