Disastro a Hollywood - la recensione

Un produttore è impegnato a sopravvivere tra star e registi folli, ex mogli e dirigenti senza scrupoli. Dal libro di Art Linson, una pellicola con Robert De Niro che lascia indifferenti e annoia parecchio...

Condividi

Recensione a cura di ColinMckenzie

TitoloDisastro a HollywoodRegiaBarry Levinson
Cast
Robert De Niro, Sean Penn, Bruce Willis, Stanley Tucci, John Turturro, Robin Wright Penn, Catherine Keener, Michael Wincott, Kristen Stewart
Uscita17 aprile 2009

Sgombriamo subito il campo dai dubbi. What just happened? Storie amare dal fronte di Hollywood (questo il titolo italiano), il libro di Art Linson a cui si ispira questo film, non era già di base il capolavoro di cui favoleggia qualcuno (magari perché non l'ha letto). Alcune storie sono divertenti, ma non c'è la follia che compare in altri testi importanti, come You'll Never Eat Lunch in This Town Again di Julia Phillips (la prima donna a vincere l'Oscar per il miglior film) o Final Cut, sulla realizzazione de I Cancelli del cielo.

Certo, di fronte a una pellicola per cui l'aggettivo più carino è inutile, seguito da noioso, il libro diventa quasi un capolavoro senza tempo. L'impressione è che il film di Barry Levinson rappresenti meglio la confusione e la povertà creativa della Hollywood attuale delle storie che vorrebbe raccontare. D'altronde, non si è avuto neanche il coraggio di chiamare con nome e cognome (come si fa nel testo originale) i protagonisti della storia. Ecco quindi che Bruce Willis interpreta un attore che non si vuole tagliare la barba (nella realtà l'Alec Baldwin de L'urlo dell'odio), Michael Wincott è un regista folle (probabilmente il David Fincher di Fight Club, che però se fosse così dovrebbe citare i produttori per diffamazione) e Stanley Tucci (che avrei visto volentieri più in scena, considerando che è come suo solito notevole) uno sceneggiatore strampalato (quasi sicuramente David Mamet). Peccato che gag che vanno benissimo per cinque pagine di libro (la barba) dilatate per quasi cento minuti di pellicola diventino insopportabili.

Basta pensare al falso film con protagonista Sean Penn, che è semplicemente girato male, al di là della scelta estrema e anticommerciale che viene fatta. Il tutto dovrebbe essere (auto)ironico, ma in realtà è poco sottile e semplicemente non convince. In altri momenti, invece, si arriva a situazioni eccessive che risultano solo fastidiose. Basti pensare al personaggio del regista interpretato da Michael Wincott (era il cattivo de Il corvo e Strange Days, qui fa sbadigliare) e l'agente con il volto di John Turturro (Jesus, dove sei?). Alla fine, l'impressione è che tutto questo, semplicemente, non sia materiale da cinema, più degno di una parodia del Saturday Night Live (non superiore ai dieci minuti) che del grande schermo.

Se vogliamo, qualcosina da salvare si può trovare. De Niro almeno non è insopportabile come nei suoi ultimi film. E qualche sequenza simpatica c'è, come quella del poster (ma perché commentare una cosa che è evidente? Si pensa veramente che il pubblico sia così stupido?) o al funerale. Peccato che il finale non abbia alcun senso (oltre che irrealistico, è telefonatissimo) e che le vicende familiari del produttore siano assolutamente da eliminare per la loro inutilità.

Di sicuro, chi sperava nel I protagonisti di questi anni zero, farebbe meglio a dimenticare l'ottimo film di Altman. D'altronde, va detto almeno che, tra il titolo italiano e quello originale, la confusione e i risultati problematici del film sono decisamente annunciati. Poi non vi lamentate che non ve l'avevano detto...

Continua a leggere su BadTaste