Dieci giorni tra il bene e il male, la recensione

Hard boiled classico dal tono tranquillizzante, Dieci giorni tra il bene e il male riconosce ciò che raramente gli hard boiled riconoscono

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Dieci giorni tra il bene e il male, disponibile su Netflix dal 10 febbraio

C’è un leggero cambio di senso nel titolo italiano di Dieci giorni tra il bene e il male, modifica sottile ma sostanziale dell’originale Dieci giorni di un uomo buono. Si perde un dettaglio poi molto evidente nel film, il fatto che questo investigatore da noir con il mito di Philip Marlowe versione Il lungo addio, dotato di una vita personale a pezzi e una certa mestizia che da sempre ben si accoppia con la durezza, è un uomo buono. Non sono mai venduti come uomini buoni i protagonisti degli hard boiled anche se di fatto lo sono, agiscono per ragioni morali, non seguono il proprio interesse economico e si lasciano trascinare più di quel che dovrebbero in casi complicati trasformandoli spesso in questioni personali. A Sadik invece lo dicono tutti che lui è proprio buono. Non si comporta in modi troppo diversi da Marlowe, è semmai il mondo intorno a lui a notare quel che nessuno nota in Marlowe.

Questo dettaglio non è da poco in un film che è un po’ un hard boiled per famiglie, tranquillo e facile, scritto con una chiarissima conoscenza delle regole, ma anche senza impegnarsi troppo, a partire dal romanzo di Mehmet Eroglu. E la regia pure sembra credere ciecamente in questa sceneggiatura senza voler nemmeno provare ad intorbidire le acque. Sadik andrà alla ricerca della più classica delle persone scomparse (essendo un film turco a scatenare la ricerca non è una donna perduta e sessualmente attraente in difficoltà ma una mamma disperata) finendo in un ginepraio di legami sotterranei, malavita, perversioni sessuali, morte e persone coinvolte in giri loschi dietro una patina presentabile. Il marcio che si muove di notte sotto la superficie della società.

Solo che in questo tipo di storie il detective è tutto. Più che la trama (sempre intricata, sempre di difficile decodifica) conta che tipo sia l’uomo che indaga, che sigarette fumi, che whisky beva. È quell’umanità che tiene i piedi in due mondi, che quando affonda nel marcio porta un punto di vista sano (il nostro), a contare. Sadik invece nonostante una predisposizione a sopportare i colpi con durezza e fermezza, è buono. È rovinato e ruvido sì, ma con dolcezza. Dieci giorni tra il bene e il male non riesce però a fare di questo una rimodulazione del classico, non riesce cioè ad essere Detective in erba (altro titolo italiano assassino), cioè cambiare contesto senza mollare un passo alla tragicità intrinseca ai personaggi hard boiled. Ne è più una versione moderata e annacquata, di buon mestiere anche se con una certa riconoscibile fatica nelle scene d’azione e una buona morale di chiusura che cerca di lavare come può tutto il nero che è stato raccontato, invece di lasciarlo macerare dentro gli spettatori.

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