Die Theorie Von Allem, la recensione | Festival di Venezia

Il nuovo film di Kröger, Die Theorie Von Allem, è un trionfo di citazioni che soccombe sotto il peso dei propri modelli di riferimento

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La recensione di Die Theorie Von Allem, il film di Timm Kröger in concorso al Festival di Venezia 2023

Gravato dal peso di un derivatismo che ne soffoca gli afflati più originali, Die Theorie Von Allem si presenta da subito come omaggio dichiarato tanto a David Lynch quanto ad Alfred Hitchcock. Due cineasti, con i loro rispettivi mondi, apparentemente distanti ma collegati da un debito che ben si riflette nell’ambiziosa opera di Timm Kröger presentata a Venezia.

Die Theorie Von Allem è un sequel. Non lo è certo nel senso strettamente tradizionale del termine, in quanto perfettamente autonomo dal punto di vista dello sviluppo drammatico e incentrato su un protagonista che poco o nulla ha a che vedere con la storia trattata nel film precedente, Zerrumpelt Herz. In questo bizzarro Kröger Cinematic Universe che si sta venendo a creare, non c’è dunque obbligo di recupero del capitolo precedente: Die Theorie Von Allem è godibile appieno anche da chi non abbia visionato il suo predecessore.

Se in Zerrumpelt Herz era la musica a rappresentare il crocevia tra i personaggi, qui Kröger pone la fisica al centro degli interessi dei protagonisti: così, il giovane dottorando Johannes (Jan Bülow) si trova a seguire il suo mentore, il professor Strathen (Hanns Zischler), a un convegno organizzato in un albergo sito tra le Alpi Svizzere. Un’occasione imperdibile, per il ragazzo, di dimostrare al mondo accademico lì riunito la validità della tesi di laurea a cui sta lavorando, basata su una supposta “onda universale”.

I cavilli della scienza non interessano più di tanto Kröger, e la fisica quantistica non è che un pretesto per innescare una reazione a catena drammatica che si veste, per due ore, dei panni del noir anni ‘40 saggiamente mescolati con influssi lynchiani surrealisti. Il giallo si fonde con la fantascienza, e il risultato è piuttosto convincente. Ciò di cui Die Theorie Von Allem pecca è certo la sintesi (il racconto diviene, dopo aver intuito il segreto della miniera, ripetitivo e ridondante), nonché il coraggio di concentrarsi davvero sul mistero che pone dinnanzi al pubblico.

Chiariamo: è apprezzabile la scelta, da parte di Kröger, di non spiegare per filo e per segno i segreti celati dietro i bizzarri fenomeni che il suo Johannes si trova a fronteggiare. Tuttavia, per amor d’immersività, avremmo apprezzato una risoluzione più soddisfacente a livello drammatico, a fronte del verboso e lunghissimo finale che pretende di chiudere una storia che, per sua natura, chiusa non potrà mai essere. La forma, per carità, è assolutamente impeccabile: occhi e orecchie trovano totale appagamento nell’eccellente lavoro di Roland Stuprich (direttore della fotografia) e Diego Ramos Rodríguez (autore della nostalgica, onnipresente colonna sonora).

Eppure, sotto questa facciata allettante, qualcosa s’inceppa. La trama risulta diluita fino al tedio, è certi personaggi che la vicenda vorrebbe centrali (in primis la Karin di Olivia Ross, ricalco pedissequo di Anna Karina) sono ridotti a meri archetipi, a malapena accettabili nel 1940 e insoddisfacenti per il gusto contemporaneo. Eppure, Kröger ha - dietro la macchina da presa - la dimestichezza dei grandi; la speranza è che si affranchi maggiormente dai pur eccelsi modelli che ha scelto, iniziando a modellare una propria strada in tutto e per tutto personale.

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