Dicktatorship, la recensione
Hofer e Ragazzi non cambiano format, Dicktatorship come gli altri loro film non esplora un argomento ma semmai le ragioni di una tesi
In Dicktatorship il tema è il maschilismo e come sempre le opinioni contrapposte lo sono solo falsamente. Uno dei due, lo capiamo da subito, è portatore della verità e l’altro gli si oppone (blandamente) più per fare l’avvocato del diavolo che altro, per dare modo alla dialettica di avvenire. Inevitabilmente sarà una dialettica da poco, più che altro spiegazione di una tesi, di certo non un dibattito. Da questo discende molta della povertà dei loro film. Hanno un obiettivo chiaro, spesso molto importante, difficile da mettere in discussione o argomentato con grande correttezza, e corrono verso la sua dimostrazione in varie maniere, fingendo di discuterlo. Uno adduce stereotipi l’altro risponde con fatti e accademici.
Ciò non significa che il film non sia interessante o che quel che viene detto non sia rilevante. Alcune interviste sono scelte bene e anche se non c’è mai contraddittorio e sono condotte in ginocchio, sono spesso montate bene ed esplorano con proprietà di linguaggio quel che vogliono dire. Questo significa che Dicktatorship stimolante in effetti lo è, tuttavia l’impressione è sempre che solo la voglia di conoscere dello spettatore lo renda tale e non la maniera in cui gli autori hanno assemblato, narrato, messo in scena e aggredito un tema.
Orgogliosamente faziosi come Michael Moore ma non audaci ed estremi come lui (nemmeno vogliosi di mescolare registri, usare l’umorismo e attaccare come lui), Hofer e Ragazzi hanno semmai un sottile atteggiamento apocalittico nei riguardi della società, uno che tentano di mitigare con sferzate d’ottimismo poco convincenti ma al quale in definitiva sembrano molto attaccati.