La recensione di Il diario segreto di Noel, disponibile su Netflix dal 24 novembre
Il film di Natale con la parola Natale nel titolo (francesizzata come il nome di battesimo cui fa riferimento) che con il Natale non ha niente a che vedere se non il fatto che si svolga in quella stagione. In realtà viene tutto da un romanzo e la storia dello scrittore bello, buono e altruista, ma scapolone, che incontra una donna in cerca delle proprie origini tramite il diario della madre che non ha mai conosciuto, non contiene nessuno degli elementi del cinema natalizio, anzi. È un dramedy sentimentale molto blando, che tiene insieme con le unghie e con i denti una produzione che scricchiolante è dire poco, tramite una scrittura obiettivamente migliore della media e una recitazione di medio livello (anche grazie a
Justin Hartley di
This Is Us).
Il diario segreto di Noel si segue non tanto per scoprire cosa accada ma nell’attesa che questa lotta ceda al peggio.
Invece con continui colpi di piccolo artigianato e buona fattura il film evita di diventare la produzione televisiva di quarto grado che sembra condannato ad essere ad un certo punto (spoiler, non ce la farà a reggere fino alla fine e in chiusura, proprio sull’ultimo frame gli caleranno i pantaloni con un fermo immagine che grida programmazione pomeridiana). Perché per il resto questo film di Charles Shyer resiste a tutte le peggiori tentazioni del cinemaccio dozzinale e questa storia dall’ambientazione e dall’intreccio molto sciocchi la vuole raccontare con serietà e proprietà di linguaggio. Ha fatto studi buoni, ha frequentato i set giusti e scritto buone commedie Shyer (tra cui anche Alfie e il moderno Il padre della sposa) e questa nobiltà di curriculum la porta al film.
La parte più ammirabile infatti è il tocco abbastanza delicato (là dove di solito questo tipo di film di amori innevati con cane al seguito prediligono le pennellate a tinte forti, lacrime e grandi dichiarazioni) e che al netto di due personaggi che sono dei cliché e di uno svolgimento che è esso stesso un cliché, poi i veri cliché (cioè le solite scene e i soliti esiti) li evita. Certo non mancano delle assurdità che gli impediscono continuamente di trovare una via migliore e affermarsi come un racconto serio, non mancano una serie di tragedie a catena che puntellano in maniera esagerata la storia, ma l’aria da “poteva andare molto peggio di così” è la vera cifra di un film di buonissimi sentimenti e amori che arrivano “quando nessuno pensava sarebbero più arrivati”, che usa il Natale invece che fare cinema di Natale. Un vero esempio di exploitation mediamente furba.