Diabolik Anno LIII n. 10: Il coraggio di Altea, la recensione

Torna nell'inedito di questo mese, Altea, una delle figure più amate della serie, uno dei comprimari più riusciti e complessi dell'intera saga di Diabolik

Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.


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Torna nell'inedito di questo mese una delle figure più amate della serie, uno dei comprimari più riusciti e complessi dell'intera saga del Re del Terrore. Il coraggio di Altea riporta in scena l'incantevole duchessa di Vallenberg, introdotta da Angela e Luciana Giussani esattamente 50 anni fa, nell'ormai mitico: Il Grande Ricatto (ottobre 1964). Enzo Facciolo si ispirò per darle un volto, alla superba bellezza dell'attrice francese Capucine, alias Germaine Lefebvre. Fu un successo e la compagna di Ginko conquistò subito il cuore di tutti i lettori di Diabolik, tanto da essere utilizzata nel corso degli episodi con saggia parsimonia dagli autori, quasi potesse offuscare, a buon ragione, il fascino di Eva Kant.

La nobile vedova del Beglait (recuperatevi il capolavoro, Il Grande Diabolik 6: Matrimonio in nero, del luglio 2002) riappare in questo episodio ancora una volta in concomitanza con gli acerrimi nemici del suo paese d'origine, i Corvi Grigi, un'organizzazione sovversiva, votata a rovesciare con un colpo di stato la giovane repubblica del Beglait. Anche Diabolik ha un conto aperto con questa organizzazione criminale, essendo stato vittima delle loro torture ne Il Grande Diabolik 15: I misteri di Vallenberg (altra pietra miliare della continuity, datata aprile 2007). A elaborare sottili macchinazioni questa volta, non sarà il nostro antieroe, ma Altea stessa, che non ha mai temuto il ladro-assassino di Clerville, tanto da irretirlo nel suo disegno teso a mandare in fumo il piano degli spietati terroristi.

La sceneggiatura magistrale di Andrea Pasini e Rosalia Finocchiaro su un soggetto accattivante come sempre, di Mario Gomboli, Tito Faraci e Pasini, tuffa il lettore in 120 pagine di azione, suspense e divertimento che scorrono via, purtroppo per il lettore, troppo velocemente. La storia è resa impeccabile dalla prova di maturità artistica di Matteo Buffagni. Il giovane disegnatore parmigiano, copertinista ufficiale della testata dal gennaio di quest'anno, merita senza controversie un posto tra gli artisti che hanno lasciato il segno in Astorina, perché è stato capace di mostrare tutto il suo talento in un difficilissimo equilibrio, in cui alla doverosa classicità dovuta ai canoni del personaggio è stato comunque in grado di far emergere la sua personalità, il suo tratto distintivo, riuscendo a nostro avviso, a realizzare in toto il progetto della casa editrice milanese, quello di rinnovare nella tradizione un pezzo di storia del fumetto e del costume del nostro paese.

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