Diabolik 10: Ho ucciso Eva Kant, la recensione
"Mi chiamo Ilaria Tesich e ho ucciso Eva Kant”: con questa sconcertante telefonata si apre il numero inedito di ottobre della collana regolare di Diabolik
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
“Mi chiamo Ilaria Tesich e ho ucciso Eva Kant”. Con questa sconcertante telefonata si apre il numero inedito di ottobre della collana regolare Diabolik. L'ennesimo piano del Re del Terrore si è concluso questa volta in un'assurda tragedia. La vittima si è ribellata alla propria carceriera uccidendola. Poiché la vicenda è ambientata nella marittima Ghenf, le indagini vengono intraprese dall'ispettore locale Malden, a cui si unisce dopo breve l'esperto collega della capitale.
Dall'esame del medico legale non sembrano esserci dubbi: è proprio quello della partner del protagonista il cadavere ritrovato nel rifugio di Ghenf. La sua compagna avrebbe dovuto sostituirsi all'esperta d'arte del Kradkistan per impadronirsi dei gioielli della mostra da lei organizzata nella città portuale, seconda per importanza dello stato di Clerville.
Ho ucciso Eva Kant è un racconto avvincente, agile e molto piacevole. Contiene tuttavia un vizio di forma evidente. Risulta impossibile ritenere verosimile l'affermazione del titolo. È naturale e immediato domandarsi fin dalle sconvolgenti tavole iniziali, come sia possibile che Mario Gomboli e Andrea Pasini abbiano deciso di porre termine e così brutalmente alla comprimaria della serie e icona indiscussa dell'altra metà del cielo delle nostre nuove parlanti.
Questo soggetto sembra ardito per non dire spavaldo anche per due autori della loro esperienza e bravura, tradendo una certa fragilità. La straordinaria sceneggiatura di Roberto Altariva non basta da sola; può ingannare il lettore casuale o alle prime armi, non quello esperto. Devono entrare a sostegno del fumetto le fantastiche vignette di Emanuele Barison e Riccardo Nunziati, nonché la strepitosa, glaciale copertina di Matteo Buffagni.
Lo sguardo attonito di Eva, gli occhi vitrei e vuoti che appaiono sulla cover e nelle prime pagine, sono essenziali per acconsentire qui più che mai, una doverosa sospensione dell'incredulità.