Di nuovo in gioco, la recensione

Clint Eastwood torna a recitare ma in un film non suo, tutto all'insegna del trionfo dei vecchi valori sui nuovi. A chi piace....

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

Il nuovo film con Clint Eastwood non è un film di Clint Eastwood, nonostante la cartellonistica e la pubblicità cerchino di andare a parare da quelle parti. Si tratta di un film di resistenza, cinema sportivo in cui i veri valori si contrappongono in maniera stanca ma strenua alle insidie della modernità (che tutto corrompe) e ridanno salute e felicità anche a chi li aveva abbandonati. Un padre vecchio scout di baseball e una figlia moderna avvocatessa, tutta carriera e vegetarianesimo (che l'essere vegetariani sia trattato come una degenerazione moderna del vivere frenetico ha del geniale), sono costretti a stare insieme per alcuni giorni dal peggiorare della vista di lui proprio quando c'è un talento importante da visionare. La figlia raggiunge il padre in missione per evitare che faccia disastri e perda il lavoro.

Benchè Clint faccia il Clint della situazione, il regista Robert Lorenz non ci pensa nemmeno e Di nuovo in gioco non vuole avere niente del cinema eastwoodiano: nè l'austera serietà, nè il rigore minimalista, nè il rifiuto dei ruoli canonici. Qui anzi tutto è canonico, la storia è una parabola di riconquista della "vecchia scuola", e allora perchè non deve esserlo anche il modo in cui il film è girato?

Se si volesse trovare un'opposizione logica perfetta a questo film sarebbe L'arte di vincere che, (sempre usando il baseball come pretesto narrativo) racconta una vicenda diametralmente opposta, in cui il nuovo fatica ad affermarsi, bloccato dalla melma del vecchio dimostrando che non per forza ciò che è noto è migliore. Ma qui non siamo dalle parti di Sorkin, qui i vegetariani si convertono agli hot dog dopo due belle partite di baseball regionali e una di biliardo in un locale malfamato.

La pecca più grande del film è infatti la maniera spiccia e diretta con la quale parla solo al proprio uditorio senza curarsi di organizzare un racconto sottile che possa portare nelle sue corde anche il pubblico distante da quella visione di mondo.

La rude sbrigatività di Clint Eastwood ti convincerebbe di qualsiasi cosa ma Di nuovo in gioco sembra utilizzarla nella maniera più bidimensionale possibile (là dove una dimensione è la ruvidità e l'altra è la dolcezza che questa nasconde), una parete su cui far rimbalzare sia Amy Adams che Justin Timberlake fino a che i rimbalzi non li facciano incontrare.
Vi devo davvero dire se poi alla fine l'arrogante rookie che pare a tutti imbattibile tranne che al vecchio Clint (che non vedendo più lo capisce dal rumore della mazza sulla palla) sia davvero un campione o si riveli un bidone? Lo dice anche il titolo originale...

Continua a leggere su BadTaste