Devs: la recensione
Alex Garland conferma il suo stile particolare e i suoi temi ricorrenti con Devs, la sua prima serie televisiva
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La narrativa contemporanea è innamorata della meccanica quantistica e del concetto di multiverso. Per film e serie di supereroi si tratta di ereditare un'idea che era già sulla carta, per Rick and Morty è uno stile di vita, per Ancora auguri per la tua morte è un gioco, per The Man in the High Castle è un'opportunità. Versioni alternative di se stessi, tagli fra i mondi (c'è anche Queste Oscure Materie) e idee simili sono una costante. Forse è anche per questo che Devs, che si impernia totalmente sulle considerazioni filosofiche che questi temi portano con sé, non riesce a sorprendere del tutto. La serie di Alex Garland, solenne nell'esposizione e curata nell'immagine, infine appare più scontata e meno stimolante di quel che voleva essere.
Esplosioni cromatiche intrappolate in geometrie regolari, le storie di Alex Garland iniziano ad essere riconoscibili. Come Ex Machina e Annientamento, sono vicende che parlano di persone geniali a contatto con anomalie da loro provocate oppure no. Esistono luoghi speciali, laboratori oppure zone circoscritte, dove le normali leggi della fisica o i limiti della ricerca possono essere aggirati grazie alla sconsideratezza o alla curiosità irrefrenabile dell'uomo. Qui Garland piazza i suoi personaggi eccezionali. Sono figure geniali, ma distaccate, capaci di vivere le emozioni solo per estremi, passando dalla totale apatia al dolore assoluto. Sono anomalie inserite in un'anomalia, e sono loro la chiave per rompere quell'equilibrio.
Tutto questo serve a filtrare, ma nemmeno tanto, una serie in cui le considerazioni superano il valore o il senso dell'intreccio. Per questo motivo, ma non è l'unico, ricorda abbastanza Westworld. Anche se la serie HBO non parla di multiversi, l'idea alla base dei molti parchi con le programmazioni ricorrenti è concettualmente la stessa. E i temi seguono a ruota. Si parla di determinismo e fatalismo. C'è una concezione meccanica dell'universo che in un caso segue le direttive umane, nell'altro le leggi della fisica, ma che in ogni caso non ammette deviazione. Oppure sì? I robot che hanno coscienza del loro loop possono spezzarlo? Gli umani che conoscono il loro futuro possono modificarlo?
D'altra parte, Devs non riesce a sostenere la propria dichiarata complessità e l'esecuzione in sé è più superficiale di quanto la premessa lascerebbe intendere. Tra l'enfasi (a volte eccessiva) dell'immagine e la ridondanza delle considerazioni, la serie non lascia troppo spazio alla sincera elaborazione e al non detto. Funziona quando è più silenzioso e lascia che l'ambiente parli per sé, cala molto quando spiega se stesso. Le situazioni da thriller violento non si integrano con i retroscena intimi dei personaggi, soprattutto degli impiegati alla Devs, né abbastanza normali, né abbastanza straordinari. Ai quali è difficile concedere un'empatia che pure viene domandata. Ed è qualcosa che pesa su un finale problematico, che chiede molto allo spettatore.