Detective Marlowe, la recensione

Nonostante nessuno dei coinvolti venga dagli anni giusti o anche dal paese giusto, Detective Marlowe è tutto giusto

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione del film di Sky, Detective Marlowe, disponibile dal 28 agosto

Due irlandesi (Neil Jordan e Liam Neeson) con una tedesca (Diane Kruger), alle prese con un caposaldo della letteratura (e poi del cinema) americani, in una coproduzione tra Irlanda, Spagna, Francia e poi Stati Uniti. Un personaggio della letteratura anni ‘30 preso in una storia tratta da un romanzo del 2014 di John Banville, pensato per inserirsi tra gli ultimi romanzi di Chandler e imitarlo. È tutto fuori asse quindi in questo Detective Marlowe, anzi è tutto fuori dalla porta, gestito dalle persone meno vicine (in teoria) al personaggio, esterne al suo mondo culturale e sociale. Nessuno dei coinvolti creativamente, nemmeno lo scrittore del romanzo, ha vissuto nella Los Angeles anni ‘30 raccontata. Ecco Detective Marlowe dimostra che non importa. Se ci fosse ancora bisogno di simili dimostrazioni.

Nonostante non appartenga in senso stretto al canone di Chandler, o forse proprio perché è un’imitazione, questa storia è estremamente aderente al tipo di trame che vive il personaggio: un caso stimolato da una femme fatale, un intrigo, doppi giochi, storiacce con i parenti della committente, l’industria del cinema come luogo di perdizione e un mondo intero di sesso a disposizione che aspetta di essere consumato, sesso promesso e ammiccato continuamente e ovunque, nelle ville, nei vicoli, nelle feste e nei locali. Misteri dentro misteri, che portano a nuovi misteri e segreti. Ognuno trama qualcosa e non basterebbe una vita per scoprire tutto.

Blandissimo nell’intreccio, ordinario, convenzionale e prevedibile nella caratterizzazione, il Marlowe di Liam Neeson (che l’ha faccia giusta ce l’ha) può vantare il primato del più violento tra quelli visti al cinema, il più manesco e grosso. Un gorilla all’occasione, anche se le scene di colluttazione non sono granchè. Detective Marlowe però ha anche il pregio di alcuni dei migliori scenari del genere. L’inconsistenza ripetitiva dell’intreccio è annullata dal fatto che questo è un film tutto carrelli e panoramiche, ambientato in alcune delle ville della Los Angeles anni ‘30 (o che almeno sembrano quelle) più grandi e meglio ricostruite che si siano viste in un film di Marlowe. Ambienti perfetti nei quali i personaggi si tagliano, si integrano e sembrano mobilio in tono.

In fondo questo conta in un film di Marlowe, non tanto cosa accada e chi sia il colpevole (sono tutti colpevoli di qualcosa, solo che le colpe di alcuni emergono e quelle di altri no, i non colpevoli muoiono) ma in che relazione il personaggio sia con quel mondo, quanto è marcio lo scenario sotto una superficie impeccabile, quanto è credibile l’attrattiva del sesso come maschera per una richiesta di sentimenti che nessuno sanerà, che sigarette fuma il protagonista e quali offre ai clienti (“le stesse” lo dice all’inizio), quanto è depresso Marlowe e quanto, forse, ha un briciolo di coinvolgimento e di speranza che verrà frustrata. A tutte queste domande Detective Marlowe risponde con buona partecipazione, nulla di innovativo come Il lungo addio, anzi qualcosa di nostalgico e tenero. Senile ma con stile.

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