Deathco 1 - 2, la recensione

Abbiamo recensito per voi i primi due numeri di Deathco, opera del mangaka Atsushi Kaneko, pubblicati da Star Comics

Fumettallaro dalla nascita, ha perso i capelli ma non la voglia di leggere storie che lo emozionino.


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Nel vasto panorama della narrativa a fumetti giapponese, Atsushi Kaneko si sta ritagliando uno spazio sempre più grande e importante grazie a uno stile originale che lo pone in posizione controcorrente rispetto alla tradizione manga. Questi primi due volumi della sua ultima opera, Deathco, rimarcano ulteriormente questa frattura con la scena nipponica e confermano ulteriormente la già ottima impressione che il sensei ha lasciato nei precedenti Soil e Wet Moon.

Atmosfere horror dal forte sapore grottesco caratterizzano questo manga incentrato sulla figura misteriosa di Deathco, adolescente assassina annoiata e indolente che, cosa comune alla stragrande maggioranza dei suoi coetanei, odia il mondo intero. A differenza di questi, però, riesce a trovare gli stimoli per andare avanti nelle missioni che l’organizzazione illegale denominata Gilda le affida periodicamente. La nostra giovane assassina fa parte dei Reaper, persone comuni assoldate per compiere delitti: quando arriva la “notifica”, un sorriso beffardo si dipinge sul suo volto ed è pronta a mietere la “testa”, termine con il quale viene designata la vittima. Si tratta quasi sempre di persone dall’animo cattivo, che alimentano quell’enorme baratro di violenza e disperazione dei nostri giorni.

Attenzione, però, perché la Gilda non ha alcuna finalità umanitaria, nessuno scopo salvifico o volontà cristiana di redimere la società contemporanea. Niente di tutto ciò anima i piani alti di questa organizzazione; anzi, a voler ricercare una regola primigenia alla base di queste azioni, possiamo dire che il caos, inteso come tendenza al disordine (entropia) dei sistemi fisici, è l’unica chiave di lettura di questi efferati crimini. In questo scenario apocalittico la nostra piccola assassina impegna il suo tempo chiusa nel buio della sua cameretta, intenta a creare bambole che nascondono armi letali, masticando il suo immancabile chewing gum e aspettando il momento in cui tornare in azione.

La lettura di questo manga è molto più lineare e semplice rispetto agli intricati sviluppi delle opere precedenti ed è resa interessante dalle figure enigmatiche tratteggiate da Kaneko. Riusciamo a dipanare la nebbia di mistero che avvolge ognuno di loro solo andando avanti nella lettura, generando così nel lettore la voglia di proseguire in questa folle corsa in cui non ci saranno attimi di pausa. Grazie a questo espediente e alla bravura dell’autore di centellinare gli indizi che concorrono a completare la storia di ogni personaggio, la struttura episodica della narrazione non risulta un limite né una griglia capace di tenere a freno l’immaginazione del mangaka. Invece, come già avvenuto negli altri casi, è sempre presente e intensa l’influenza che il cinema esercita in fase di realizzazione dello storytelling. Kaneko non ha mai fatto mistero di essere un fan di David Lynch (e Soil ne è vivida prova), ma in questo suo nuovo lavoro emergono forti le influenze di Tim Burton (per quanto riguarda la componente più surreale dell’immaginario di Deathco) e di Quentin Tarantino (l’humour nero, la connotazione splatter di molte scene, il sangue che scorre a fiumi, teste e arti mozzati a go-go rimandano subito alla cinematografia del regista americano).

L’uso della violenza fine a sé stessa (in fondo i Reaper operano senza un reale motivo) viene in parte smorzato dalla scelta di uno stile grottesco e caricaturale, quasi che l’autore voglia prendere le distanze dalla morte e dalla distruzione che i suoi personaggi portano in giro per mettere, invece, in risalto due aspetti fondamentali di questa storia. Il primo è l’ineluttabilità del nostro destino, quella nera mietitrice che aspetta tutti noi al varco e che, senza un perché, è pronta a calare la sua arma di morte. L’astro nascente della malavita locale, Sannomiya, disperato, chiede al suo aguzzino, un Reaper che indossa una maschera da Spaventapasseri, perché debba morire. In tutta risposta ottiene parole agghiaccianti, che ci spingono a riflettere: si crepa senza motivo. Tutti gli sforzi profusi, le privazioni, i sacrifici sono volti a finire in un grande buco nero che è la morte, la quale, come la Gilda, opera senza un perché. E Sannomiya imparerà questa lezione a caro prezzo.

Un altro aspetto nascosto dietro questa profusione di sangue è quella perversione umana verso la violenza. Deathco, e gli altri assassini, sono persone comuni che vivono la loro quotidianità divisi tra il lavoro, la famiglia e le crisi esistenziali, ma lasciano trapelare la propria latente aggressività non appena ricevono una missione e indossano i loro stravaganti costumi. Gli istinti primordiali dell’uomo vengono messi a nudo da Kaneko nel caravanserraglio presente nella discoteca della morte, dalla quale emergerà protagonista indiscussa Deatcho.

Non solo la scrittura ma anche lo stile grafico del mangaka è cinematografico, siamo distanti anni luce dalla precisione e la minuzia della produzione giapponese: il tratto di Kaneko è semplice, tondeggiante, preferisce giocare con i primi piani, ponendo maggiore cura nell’espressività dei volti e delle figure. Uno stile, dunque, atipico che gioca con continui ribaltamenti delle inquadrature, attento a cogliere la tensione emotiva dentro ogni vignetta, che lascia alle onomatopee, a piccoli dettagli appena percettibili il compito di esplicare il caleidoscopio di sensazioni che pervadono ogni singola pagina. Le ambientazioni sono quasi sempre interne, oscure, a tratti claustrofobiche, rese alla perfezione dal bianco e nero del sensei.

Deathco è una lettura fortemente consigliata, figlia della capacità del suo creatore di abbattere i limiti che demarcano i diversi mezzi di comunicazione (letteratura, fumetti, cinema) e lascia emergere il grande amore di Kaneko per la narrazione a immagini. Non c’è lirismo, non c’è epicità, solo morte, caos, azione che vi terranno incollati al volume dalla prima all’ultima pagina, in una corsa a fari spenti nella notte.  

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