Death to 2020: la recensione
Death to 2020, dall'autore di Black Mirror, ripercorre quest'anno infausto con il linguaggio della parodia
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Il problema della parodia è che la realtà è diventata troppo assurda di suo. La legge di Murphy – tutto quello che può andare storto lo fa – è diventata una regola ferrea. Qualunque ragionamento assurdo può essere partorito da chiunque. Il mondo presenta una situazione eccezionale dietro l'altra. Considerato questo, o si riesce a trovare un punto di vista e uno stile particolarissimo come Borat 2, oppure si rischia di raccontare una barzelletta già sentita, come Death to 2020.
Death to 2020 non presenta un punto di vista particolare o illuminante sulle vicende accadute. Si limita ad esporre i fatti con una narrazione sarcastica, intervallando l'esposizione con le osservazioni degli intervistati. È un prodotto pensato e confezionato per chi ha già una certa visione dei fatti e vuole cullarsi nel ripercorrere gli eventi. Charlie Brooker, parlando tempo fa di eventuali nuovi episodi di Black Mirror, aveva dichiarato di volersi prendere una pausa perché la realtà era troppo deprimente. Forse perché, nell'accelerazione incredibile di fatti e riflessioni e tempi di vita, anticipare i tempi e parlarne criticamente è sempre più difficile.
Spiccano in effetti tutti gli attori, soprattutto Hugh Grant che interpreta uno storico. Ma anche qui le battute si limitano a fargli confondere fatti di film con eventi reali o a fargli ribattere allo slogan "Black Lives Matter" affermando "io preferisco dire che tutte le vite contano", sempre in una critica alle frasi pronunciate meccanicamente da chi vuole ridimensionare certi temi. La scrittura, come in certi speciali stand-up comedy, inserisce Netflix nel discorso, ne mostra la home page, inserisce fotogrammi da The Crown e Tiger King. Sono momenti che fanno sembrare questo speciale ancora più rigido di quel che è.