Daymare: 1994 Sandcastle, la recensione
Daymare: 1994 Sandcastle dimostra tutte le qualità di Invader Studios, dimostrandosi migliore del precedente capitolo sotto ogni aspetto
Per i ragazzi di Invader Studios, Daymare: 1994 Sandcastle è un po’ il gioco della conferma. La conferma di quella bravura intravista nel 2019 all’uscita di Daymare: 1998, un titolo ispirato al franchise di Resident Evil con diversi punti di forza, ma altrettante debolezze. Stiamo parlando di un TPS a tinte horror, caratterizzato da un’ambientazione cittadina affascinante, ma con diverse problematiche nel gameplay e nel bilanciamento. Problematiche che confluivano poi in boss fight di dubbio gusto, che all’epoca superammo sfruttando i numerosi bug presenti nella versione finale.
Nelle scorse settimane ci siamo addentrati nella misteriosa Area 51, nel tentativo di scoprire quale sia l’emergenza per la quale è stata contatta l’agente speciale Dalila Reyes. Se siete curiosi dell’esito della nostra indagine e siete rimasti affascinati dalle grandi capacità del team italiano, allora non dovete far altro che continuare la lettura della nostra recensione di Daymare: 1994 Sandcastle.
LE ORIGINI DI DAYMARE
Quando Dalila Reyes viene convocata per dirigersi all’interno dell’Area 51, è chiaro che qualcosa è andato storto. Una sensazione che si amplifica minuto dopo minuto, quando bizzarri eventi elettromagnetici colpiscono la base e coloro che lavorano al suo interno. Questo è solo l’inizio di un viaggio nell’oscurità costellato di mostruose creature, complotti e di esperimenti governativi segreti che se portati alla luce potrebbero cambiare per sempre le sorti del mondo intero.
A questo vanno aggiunti dei documenti sparsi per le mappe dalla durata sufficiente per fornire dettagli importanti sul world building, ma non troppo da rallentare l’azione. Se calcolate anche la miriade di citazioni agli anni Novanta, le cut-scene ben dirette e, in generale, una buona messa in scena della storia, ecco che già da questo paragrafo potete capire quanto i ragazzi di Invader Studios ci abbiano convinto con il loro secondo titolo. Un plauso anche alla scelta di inserire Fabio Guaglione nel team, regista di Mine e scrittore poliedrico, capace di passare dalla pura narrativa alla scrittura di fumetti con grande maestria. La sua aggiunta al team ha sicuramente fatto bene al titolo, permettendo a Daymare: 1994 Sandcastle di fare un notevole salto di qualità.
SEMPLICE, MA PRECISO
Come già accennato, Daymare: 1994 Sandcastle non si discosta troppo dal genere del suo predecessore. Le modifiche apportate al “combat system”, però, si fanno sentire per tutta la durata dell’avventura. Per prima cosa, i dev hanno rimosso il sistema di caricamento delle bocche da fuoco visto nel primo episodio. Un sistema che noi abbiamo apprezzato, ma che è risultato troppo complesso per gran parte dell’utenza. A questo fa seguito la scelta di ridurre al minimo la varietà delle armi, che qui si limitano a un fucile a pompa e a un mitragliatore. Una scelta che ha permesso agli sviluppatori di creare un’esperienza semplificata, ma priva di quelle sbavature viste in passato. Il gunplay, infatti, ne esce sicuramente migliorato, nonostante talvolta si senta la mancanza di altre armi da poter equipaggiare.
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Per cercare di bilanciare questa scelta, Invader Studios ha inserito il Frost Grip, un oggetto legato al braccio di Dalila che da accesso a numerose possibilità. Questa bizzarra arma permette infatti di congelare i nemici, riducendoli poi in poltiglia con un solo colpo. Attraverso un semplice, ma funzionale, sistema di potenziamento, possono poi essere aggiunte diverse abilità a questa nuova introduzione. Abilità come degli scudi di ghiaccio e delle mine da collocare a terra per rallentare gli avversari prima che ci siano addosso. Proprio gli avversari, inoltre, si sono rivelati tra le principali novità di questa seconda iterazione del franchise di Daymare.
MOSTRI E AMBIENTI
Per prima cosa: scordatevi gli zombie e le creature in stile Resident Evil di Daymare: 1998. In questa nuova avventura ci troveremo di fronte a cadaveri riportati in vita da misteriosi impulsi elettrici. Impulsi che lasceranno i corpi dei nemici sconfitti per tuffarsi in altri involucri vuoti da “possedere”. Per fermare questo eterno ciclo di morte e rinascita dovremo utilizzare il nostro fidato Frost Grip, che farà sparire nell’etere le misteriose bolle di energia. Si tratta di una scelta di design che non avevamo mai incontrato prima e che ci ha davvero divertiti, costringendoci a rimanere sempre all’erta. Peccato però per la scarsa varietà di nemici e per un paio di scontri davvero mal bilanciati, che ci hanno fatto soffrire le pene dell’inferno nonostante una difficoltà tutto sommato accessibile a chiunque. Questo difetto è estendibile anche all’unica vera boss fight nella quale ci si imbatte nel finale. In questo caso è ancora evidente la parziale inesperienza del team, che è riuscito a dare vita a uno scontro tedioso e con una meccanica di fondo snervante e per nulla divertente.
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Uno degli aspetti che, invece, ci ha più entusiasmati è la varietà degli ambienti che ci troveremo a esplorare. Di solito, anche nei più blasonati Resident Evil, si parte con una grande varietà di location affascinanti, per poi finire in più semplici (e noiosi) laboratori. In Daymare: 1994 Sandcastle la cura riposta nel level design è in costante crescendo. Abbiamo infatti preferito di più le ambientazioni della seconda metà di gioco rispetto a quelle della prima, pur apprezzando ogni singola area esplorabile. Un risultato per nulla scontato che spesso non riesce nemmeno alle grandi software house e che, per questo, ci sentiamo di elogiare in toto.
UN BALZO TECNICO
È innegabile: il passaggio all’Unreal Engine 4 ha permesso a Daymare: 1994 Sandcastle di fare un salto di qualità. Nonostante le prime ore di gioco ci abbiano trasmesso la sensazione che la testa di Dalila fosse un po’ troppo grande per il suo corpo, i modelli dei personaggi e dei nemici ci hanno tutto sommato convinto convinto. Alcuni personaggi secondari, inoltre, vantano un dettaglio anche nei volti davvero encomiabile (soprattutto pensando che si tratta del secondo titolo sviluppato da Invader Studios). Ottima, invece, l’ambientazione, che abbiamo amato sin dal primo minuto di gioco.
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Per quanto riguarda il sonoro, la soundtrack ci ha davvero stupito, giocando tra musiche d’atmosfera in pieno stile X-Files e silenzi in grado di lasciarci senza fiato. Speriamo, a questo punto, che i dev decidano di caricarla su Steam com’è stato fatto per il primo capitolo. Buono il doppiaggio in inglese e valida anche la traduzione in italiano. Traduzione che presenta talvolta qualche refuso, ma che di certo non compromette la generale fruizione del gioco. Un plauso, infine, alla pulizia generale del titolo, che ha permesso alla versione PC di non avere alcun bug significativo. Un risultato nettamente differente rispetto a quanto provato al lancio di Daymare: 1998.
Daymare: 1994 Sandcastle è la prova di come Invader Studios si senta a suo agio con questa tipologia di gioco. Siamo rimasti stupiti dalla qualità generale del titolo, che ci sentiamo di consigliare non solo a coloro che amano i vari Resident Evil, ma anche agli appassionati dei survival horror in generale. E che sia ben chiaro: non si tratta di aver realizzato un buon gioco per un team italiano, ma di aver realizzato un buon gioco e basta. Daymare: 1994 Sandcastle merita i nostri soldi e non possiamo far altro che sperare che i dev decidano di portare avanti il franchise in futuro. Un franchise che, di sicuro, seguiremo con estrema passione.