Daybreak (prima stagione): la recensione
In Daybreak c'è la rincorsa furibonda e caotica al riferimento casuale e popolare, all'autoconsapevolezza insistita, che dovrebbe sembrare sagace, eppure risulta fin troppo conformista
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Daybreak è quel tipo di serie che ci ricorda di non dare troppo per scontato Stranger Things. Sembra semplice mettere insieme un gruppo di ragazzini dalle caratteristiche esagerate, calarli in un'ambientazione sovrannaturale, infarcire il tutto con citazioni pop e servire ancora caldo. Non lo è, e questa confusa serie apocalittica tratta dal fumetto di Brian Ralph ne è la prova. C'è una rincorsa furibonda e caotica al riferimento casuale e popolare, all'autoconsapevolezza insistita, che dovrebbe sembrare sagace, eppure risulta fin troppo conformista e debole. Le mancanze di Daybreak possono renderla una serie interessante da analizzare, ma pesante da vedere.
Bastano i primi minuti del primo episodio, diretto da Brad Peyton, per inquadrare la serie. C'è una narrazione da Zombieland, in cui il protagonista parla direttamente con noi e ci racconta le sue personali regole per sopravvivere. C'è una pericolosa banda che imita il look e l'estetica di Mad Max. Come in Mean Girls, c'è la rigida ed esagerata divisione in gruppi scolastici che si traduce in una guerra di tutti contro tutti, stavolta spostata davvero in un'apocalisse. Un preside interpretato da Matthew Broderick dovrebbe ricordarci Una pazza giornata di vacanza. Come in un film di Romero, gli adulti rimangono legati alle ultime parole pronunciate in vita (riguardano sconti, obblighi e altre banali scadenze) che ci dovrebbero far capire con arguzia la loro vacuità. Eppure quest'ultimo è proprio uno dei problemi della serie.
Perfino Daybreak stesso sembra riconoscersi per ciò che è e sapere di essere una serie Netflix da bingewatchare senza troppe pretese. Perché in fondo è "solo" un altro sasso lanciato nel mare dell'intrattenimento, con la sua percentuale su RottenTomatoes e i propri obiettivi da marcare. Anche come tono, la serie prova a toccare tutti i territori senza punti di riferimento fermi. È una parodia che scherza con le morti esagerate, ma altre volte ci dice che sono importanti, abbatte la quarta parete con dei flashback incoerenti, oppure dedica un intero episodio ad una rottura seria e drammatica.
Questo può essere interessante. Definire un'intera generazione tradita dagli adulti, che anche nell'apocalisse non trova un modo per essere se stessa, ma riesce solo a definirsi in base a riferimenti esterni e citazioni inutili. Ma non sembrava essere questo l'obiettivo dello show.