Day Of The Fight, la recensione | Festival di Venezia

Con un incontro atteso per tutto il tempo, Day Of The Fight imbastisce una storia di redenzione che deve poi solo spingere in buca

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Day Of The Fight, il film di Jack Huston presentato nella sezione Orizzonti Extra del festival di Venezia

Il cortometraggio di Stanley Kubrick dal medesimo titolo non è niente più che un riferimento, la giornata prima dell’incontro del pugile di questo Day Of The Fight non ha davvero niente in comune con quell’altra, né fattualmente né a livello di senso. Qui si parla di un pugile una volta noto, finito in galera per 10 anni, poi uscito e ora alla prima vera occasione di fare qualcosa di sé. È cinema bianco come una canzone di Bruce Springsteen (ma girato scritto e prodotto da un attore britannico, Jack Huston), società popolare americana, bassifondi e quartieri difficili di New York in cui si agitano un desiderio di riscatto, un cuore che brucia dietro molti errori e la madre delle seconde occasioni: un incontro al Madison Square Garden per il titolo.

Il film inizia al mattino prestissimo e sì chiude a notte fonda. È una giornata in cui incontra tutte le persone che sono importanti o sono state importanti per lui, per raccogliere i pezzettini distrutti della sua vita, prima che forse qualcosa possa tornare. Noi viaggiamo con lui lungo New York con una mestizia nelle parole stentate che è un po’ tutto e un bianco e nero d’altri tempi (il film è ambientato a inizio anni ‘90). È un film di dialoghi questo con l’intelligente idea di avere un’azione che incombe, l’incontro che ci sarà e di cui tutti parlano. Esiste una promessa costante che lavora nella testa dello spettatore e che dà a ognuno di questi dialoghi un’aria inesorabile: tutto può davvero risolversi questa notte.

Certo Mikey è proprio caratterizzato come Rocky. Non un fulmine di guerra, occhi dimessi e aria da cane bastonato. Le parole sono pochissime e il cuore grande (ci pensa Michael Pitt a quello, mettendo sopra la sua solita faccia da delinquente l’aria sbattuta di chi ha provato i sentimenti più turpi). Day Of The Fight quindi vivacchia a lungo, imbastisce con tutti questi incontri e questi dialoghi una costruzione di sentimenti e parabole non proprio impeccabile, a tratti sfociando anche un po’ nel santino del protagonista e sfruttando la partecipazione di Joe Pesci non proprio al massimo. Però ha grazia. Ogni volta che potrebbe affondare nel patetico sceglie di non farlo. 

Così tanta grazia che poi alla fine, con un lavoro di squadra invidiabile, riesce a finalizzare tutto quello che ha costruito, specialmente la tensione emotiva che aspetta disperatamente di rilasciare, lasciando l’onere di mandare la palla in buca a un comprimario (l’eccezionale Ron Perlman, la personificazione attoriale dell’efficacia) a cui basta chiudere gli occhi durante un abbraccio per far piangere tutti fino all’ultima fila della sala.

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